SOCIETÀ

Diritti LGBTQIA+ in Europa: un banco di prova per la democrazia

“Stiamo entrando in una nuova era in cui le persone LGBTI sono diventate il banco di prova per leggi che erodono la democrazia stessa”. Sono le parole con cui Chaber, l’executive director della sezione europea, ha presentato l’ultimo rapporto annuale della International Lesbian and Gay Association (ILGA), un’associazione indipendente che da 14 anni produce un documento annuale che fotografa lo stato dei diritti umani delle persone lesbiche, gay, bisessuali, trans e intersex in Europa e in Asia centrale.

L’analisi di ILGA si basa sulle azioni legislative, giudiziarie e sulla cronaca dei singoli paesi per misurare se e quanto vengano tutelate le persone che appartengono alla comunità LGBTQIA+. Nel rapporto si può leggere, per esempio, di come nel 2024 i governi di Bulgaria, Georgia, Ungheria, Kyrgyzstan e Montenegro abbiano costretto le ONG internazionali operative sui loro territori a essere registrate come “agenti stranieri”. Si tratta di una legge adottata per prima dalla Russia di Putin nel 2012 e che mira a delegittimarne l’operato e che secondo Amnesty International è una limitazione della libertà di espressione.

La situazione in Europa

Accanto al rapporto, ILGA-Europe produce anche una Rainbow Map, una mappa del continente in cui ogni paese ha un punteggio compreso tra zero e cento in base a quanto tuteli i diritti civili delle persone LGBTQIA+. È un indicatore che deve essere preso con la dovuta cautela, perché non sempre rispecchia quello che nella vita quotidiana accade alle persone LGBTQIA+ dei singoli paesi, ma fa un certo effetto - come avviene da diversi anni a questa parte - vedere l’Italia con un indicatore vicino ai paesi dell’Europa orientale e non vicino a Francia, Germania e Regno Unito, ovvero gli altri membri europei del G7.

Ma non bisogna farsi attirare da semplificazioni del tipo “i francesi o i tedeschi sono meno omofobi degli italiani”. Ce lo sottolinea Roberto Muzzetta, responsabile esteri della segreteria nazionale di Arcigay e vicepresidente di Arcigay Milano: “la società italiana non è più omotransfobica di altre società europee: il punto è che i partiti conservatori italiani sono molto più arretrati su queste tematiche di quanto non lo siano altri partiti conservatori europei”. Non si tratta, quindi, solamente di un problema legato all’attuale governo Meloni che su alcuni temi legati all’orientamento sessuale e all'identità di genere ha fatto parte della propria fortuna elettorale.

 

Un punto importante è la mancata approvazione della legge nazionale contro l'omolesbobitransfobia Roberto Muzzetta, responsabile esteri Arcigay

Più in generale, sottolinea Muzzetta, “è una questione timidezza politica a trecentosessanta gradi, perché nemmeno la sinistra italiana ha brillato su questi temi”. Il primo riferimento che emerge non può che essere la mancata approvazione della legge nazionale contro l’omolesbobitransfobia (il cosiddetto Ddl Zan), che era stato sostenuto dall’alleanza PD-M5S durante i due governi Conte e che è stato definitivamente affossato al Senato nella stessa Legislatura durante il governo di Mario Draghi. Ma possiamo anche ricordare che i Giovani Democratici, il movimento giovanile del PD, durante l’ultima campagna elettorale ha dovuto fare un appello pubblico perché il loro partito sostenesse il matrimonio egualitario. Nel contesto dei partiti progressisti europei, sottolinea Muzzetta, si tratta di “una anomalia”: dovrebbe già essere parte della proposta politica di base.

 

Nessun avanzamento

Guardando da vicino la situazione italiana attraverso i dati del rapporto ILGA emerge come il punteggio italiano non sia cresciuto molto in questi anni. “Un punto importante è proprio la mancata approvazione della legge nazionale”, spiega Muzzetta, “che nel sistema di valutazione di ILGA ha un grande peso”.

Il dato, inoltre, conferma la lettura di Muzzetta secondo la quale in Italia non è tanto un problema di chi governa, perché sui temi legati ai diritti della comunità LGBTQIA+ “tutta la politica è traslata a destra”. Eppure, secondo un sondaggio realizzato dalle Università di Verona e Pavia e riportato proprio dal report di ILGA, in Italia la società sarebbe più avanzata rispetto alla propria rappresentanza politica: il 56,3% delle persone intervistate afferma che non approvare il Ddl Zan è stato un errore e l’83,4% è favorevole al riconoscimento delle unioni tra persone dello stesso sesso, sebbene solo il 56,8% sia favorevole al matrimonio egualitario, mentre il 26,6% preferisce che il diritto sia limitato alle unioni civili.

 

Effetto Trump

Le politiche apertamente liberticide dell’attuale presidente degli Stati Uniti, in particolare contro le persone transgender, sono una fonte di preoccupazione. “Innanzitutto”, spiega Muzzetta, “pur con tutti i suoi problemi, l’amministrazione Biden era comunque capace di esercitare una certa pressione su altri governi occidentali affinché mantenessero posizioni ragionevoli”. Il cambio di politica sta già avendo effetti diretti sulla cittadinanza USA, ma avrà forti ricadute anche al di fuori degli Stati Uniti. Il primo punto è “lo sdoganamento di un linguaggio violento”, continua l’attivista, “che rischia di cambiare il paradigma” dentro cui si raccontano i fatti. E poi si aggiunge il tema prettamente normativo e politico: le mosse di Trump potranno ora essere seguite da altri governi.

Lo sdoganamento di un linguaggio violento fatto da Trump rischia di cambiare il paradigma Roberto Muzzetta, responsabile esteri Arcigay

Sembra che ci sia poco da rallegrarsi, ma Muzzetta non vuole calcare la mano sull’allarmismo. Qualche segnale positivo arriva proprio dalla società civile e dalla rete di associazioni che sul territorio fanno attività di sensibilizzazione, educazione e molto altro. Negli ultimi anni, infatti, il numero di aggressioni dirette a persone della comunità LGBTQIA+ in Italia è aumentato, come mostrano i dati che annualmente proprio Arcigay raccoglie. Ma “la sensazione è che accanto a un aumento degli episodi ci sia anche un maggiore coraggio nel denunciare pubblicamente”, spiega Muzzetta. Sappiamo che non per forza le persone vittime di violenza e aggressioni denunciano alle forze dell’ordine quanto subito: come nel caso della violenza sulle donne c’è una colpevolizzazione delle stesse vittime che le invisibilizza. “Ma già che questi episodi siano visibili, secondo me, è un segnale che le persone non hanno più voglia di lasciar correre”. 

 

Uniti per i diritti

Lo sguardo internazionale di Muzzetta, unito ai dati raccolti e pubblicati da ILGA sollevano anche un altro tema, ovvero la parcellizzazione delle lotte per i diritti. Per il responsabile esteri di Arcigay bisogna invece pensare in un’ottica di “una internazionale dei diritti”, soprattutto in questo momento delicato per molti altri temi che colpiscono gruppi di persone fragili, come le vittime delle guerre e di altre violenze, le persone migranti e così via.

C’è bisogno che il movimento faccia uno scarto in una direzione pienamente intersezionale”, cioè accolga la (o, appunto, "intersezione") di diverse identità sociali e le relative possibili particolari oppressioni. In questo senso, una persona può essere oggetto di una doppia discriminazione, per esempio, se è contemporaneamente migrante e lesbica, oppure è malata e vive in un territorio in guerra: le possibili combinazioni sono praticamente infinite. Quello che Muzzetta sottolinea è che le diverse comunità marginalizzate, compresa quella LGBTQIA+, devono fare lo sforzo di allearsi, di condividere un orizzonte di lotta sociale, politica e culturale. “Se reagiamo solo quando vengono toccati i nostri diritti”, sottolinea, “siamo poco credibili”. Occorre, invece, fare proprie “altre sfide e porsi su un piano di alleanze internazionali, perché divisi siamo più deboli”.

 

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