CULTURA

Streaming contro sale: il cinema nell’era Covid

Nel generale disastro dell’industria dello spettacolo nell’era Covid, ogni settore arranca, tentando di reinventarsi. Ciascuno tenta di mantenere, se non un profitto, almeno una fidelizzazione, un legame profondo e continuato con il pubblico, proponendo (in misura diversa a seconda del proprio dinamismo e della creatività) contenuti culturali via web, a pagamento o molto più spesso gratis. Ma per quanto innovativo sia l’allestimento online di un’opera lirica o un concerto, l’obiettivo è arduo: bisogna far digerire agli spettatori un tipo di spettacolo totalmente degenere, che rinuncia al suo elemento costitutivo, ossia la presenza fisica, e contemporanea, di un esecutore e del suo pubblico nel luogo e nel momento in cui l’evento va in scena. Questo non vale per il cinema, che per le sue caratteristiche è in grado di affrontare meglio la sfida del Covid: a condizione di accettare, anche in questo caso, il definitivo snaturamento delle sue origini. La scomparsa delle sale cinematografiche.

I segnali più recenti di questo processo vengono dagli Stati Uniti, dove la pandemia sembra aver accelerato la tendenza, in atto da tempo, a penalizzare le sale in favore della distribuzione via piattaforme digitali. Durante la chiusura della maggioranza dei cinema vi sono stati molti casi di film usciti abbreviando o azzerando le tradizionali “windows”, i periodi garantiti in esclusiva alle sale cinematografiche, che di norma fanno debuttare un film e ne mantengono la presenza per due o tre mesi prima che possa essere distribuito attraverso i diversi canali home: un intervallo, va detto, che si è via via ristretto nel tempo, man mano che le modalità di sfruttamento dei film con tecnologie diverse dalla visione in sala diventavano sempre più numerose e sofisticate.

Questo scenario di tensione crescente è culminato, alcuni mesi fa, nel duello tra Universal Pictures e AMC, la più grande catena mondiale di sale cinematografiche. La major hollywoodiana aveva scelto di distribuire il film d’animazione DreamWorks Trolls World Tour direttamente in streaming, in contemporanea con le proiezioni dei pochi cinema aperti e senza consultare gli esercenti. In risposta, AMC aveva annunciato che non avrebbe più programmato sui suoi 11.000 schermi i film prodotti da Universal. La scorsa estate si è raggiunto un accordo che segna un capitolo nuovo nei rapporti tra grande distribuzione ed esercizio: Universal riserverà ai cinema di AMC un’esclusiva di soli 17 giorni (un minimo di tre weekend), dopo di che i film saranno disponibili anche attraverso il premium video on demand, la più costosa modalità di streaming in anteprima (generalmente circa 20 dollari per singola visione). Per poter diffondere i film con gli altri canali home (modalità on demand meno care, dvd, blu-ray), Universal dovrà invece rispettare il tradizionale periodo di esclusiva per le sale cinematografiche.

L’accordo, che in sé già appariva una mezza capitolazione per le sale, ha aperto la strada a un passo ancora più audace da parte delle major. Pochi giorni fa, Warner Bros ha dichiarato che tutti i suoi 17 film in distribuzione nel 2021 debutteranno in contemporanea nelle sale Usa e su HBO Max, la piattaforma in streaming di Warner Media (in abbonamento negli Stati uniti a 14,99 dollari al mese). Una decisione che era stata anticipata da un primo annuncio: l’esordio simultaneo, nel giorno di Natale, del film Warner Wonder Woman 1984 nelle sale e su HBO Max. È evidente che ormai che la grande distribuzione sta utilizzando la crisi delle sale come occasione per forzare la mano, assecondando l’esplosione del business delle piattaforme digitali come mezzo principale di visione delle opere cinematografiche. Ed è chiaro che, superata l’onda del Covid, sarà tutta la filiera della distribuzione ad essere ripensata. Le sale certo non scompariranno all’improvviso, ma il loro ridimensionamento richiederà un profonda trasformazione del loro ruolo. Già oggi alcune catene cercano di recuperare pubblico proponendo esse stesse una programmazione in streaming: AMC ha un suo portale on demand sul quale è possibile scaricare a pagamento una ricca offerta di film 60/90 giorni dopo il loro debutto nelle sale del circuito. E anche i festival cinematografici si sono adeguati, trasferendo le loro anteprime sul web, integralmente o parzialmente: un esempio è Sundance, una delle maggiori rassegne mondiali di cinema indipendente, che a fine gennaio sperimenterà una formula mista digitale – in presenza.

Pensiamo, infine, al potere crescente che nella filiera cinematografica stanno assumendo i colossi dello streaming: difficilmente un film prodotto o distribuito da Netflix garantirà ai cinema un canale privilegiato di accesso alle proprie opere. E, in effetti, la guerra tra le sale e il colosso californiano è in atto da tempo: su tutti il caso di Roma, il film di Alfonso Cuarón vincitore di tre Oscar, boicottato dagli esercenti a causa della distribuzione organizzata da Netflix in un ridottissimo numero di sale “ribelli” (poi ampliato a causa delle proteste) per poi inserirlo sulla piattaforma streaming pochi giorni dopo il mini-debutto al cinema.

Cosa comporta il successo, ormai inarrestabile, delle modalità di visione privata delle opere cinematografiche? Il lato positivo è che la definitiva globalizzazione dei film grazie alle tecnologie “da casa”, in particolare per le opere indipendenti e non commerciali, permette di lanciarli su un palcoscenico mondiale, obiettivo abissalmente fuori portata per la distribuzione in sala (pensiamo all’enorme difficoltà di ottenere una programmazione internazionale per la quasi totalità dei film d’essai che non hanno alle spalle industrie nazionali importanti). D’altro canto, dobbiamo adattarci all’idea di un futuro prossimo in cui le sale saranno, probabilmente, molto diverse: numero di schermi drasticamente ridotto, necessità di specializzazione sempre più accentuata per fidelizzare anche un pubblico giovane e meno abituato, rispetto alle generazioni precedenti, al piacere del cinema su grande schermo. Quanto al processo di selezione, verrebbe da pensare, statistiche pre-Covid alla mano, che a resistere saranno soprattutto le multisale più grandi. Ma c’è chi formula una previsione opposta: intervistato, Ken Loach ha sostenuto che “ci sarà una divaricazione: il cinema indipendente, sia europeo che americano, sopravviverà nelle piccole sale grazie alle persone che amano i film come strumento di comunicazione. D’altra parte il teatro è sopravvissuto all’avvento della televisione. I grandi multiplex, invece, quelli in cui si proiettano i titoli commerciali, probabilmente entreranno in crisi, perché ormai la gente si è abituata a vedere i blockbuster ovunque, a casa, sul cellulare”.

Gustarsi un film al buio, su uno schermo molto più grande di qualunque maxitelevisore, in mezzo ai sussurri e le risate degli altri resterà un passatempo per gruppetti di anziani nostalgici? Inizieremo a capirlo quando il Covid ci lascerà respirare.

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