CULTURA

La tecnologia come religione e l’ideologia di Elon Musk

In Italia sono recentemente apparsi due libri che hanno come oggetto di riflessione il rapporto che abbiamo con la tecnologia. Il primo è L’uomo che vuole risolvere il futuro. Critica ideologica di Elon Musk (Bollati Boringhieri) scritto da Fabio Chiusi, giornalista e project manager di AlgorithmWatch, che analizza le radici filosofiche e ideologiche del pensiero del celebre imprenditore, mettendone in evidenza i lati problematici. Il secondo è La tecnologia è religione (Einaudi) in cui la scrittrice Chiara Valerio riflette sul nostro rapporto con i dispositivi tecnologici nel quotidiano. In un momento in cui stanno emergendo nuove paure legate alle tecnologie digitali più avanzate, come per esempio, i chatbot basati sul machine learning e l’intelligenza artificiale, i due libri ci aiutano a scavare un po’ più in profondità nel nostro rapporto con la tecnologia.

All’origine del “muskismo”

A partire dal 1959, il filosofo Günthers Anders ha intrattenuto un rapporto epistolare con Claude Eatherly, il pilota che ha sganciato su Hiroshima la prima bomba atomica il 6 agosto del 1945. Anders descrive Eatherly come un uomo distrutto sul piano morale, incapace di accettare a posteriori quello che in presa diretta non aveva del tutto compreso. Lo definisce, come il titolo del libro che raccoglie il carteggio, L’ultima vittima di Hiroshima. Da quel giorno di agosto del 1945, però, la vita non è cambiata solo per le vittime e per Eatherly, ma per tutta l’umanità, perché con l’uso della bomba atomica per Anders ha inizio l’«assenza di futuro». È una riflessione morale che tiene insieme tutti gli elementi dell’ideologia di Elon Musk analizzata da Chiusi: il pensiero morale, la preoccupazione per il futuro (o la sua assenza) e il ruolo che in tutto questo ha la tecnologia. 

Per addentrarsi nel Musk-pensiero, Chiusi sceglie di rivolgere il proprio sguardo sulla libreria dell’imprenditore, ricostruendo le fonti del suo pensiero. E si comincia con un pilastro della fantascienza, Il Ciclo delle Fondazioni di Isaac Asimov, un ciclo di romanzi iniziato proprio nel Secondo dopoguerra, pochi anni prima che Anders cominciasse il suo rapporto epistolare con Eatherly. Il motore della narrazione è la figura di Hari Seldon, il personaggio che nei romanzi inventa una nuova disciplina, la psicostoriografia, in grado di prevedere esattamente e in modo quantitativo il futuro. Ne discende una serie di eventi che cercano di accorciare un futuro periodo buio per l’umanità agendo sul presente e l’immediato futuro. L’idea di fondo sembra quasi un’idea ottimista in reazione alle preoccupazioni di Anders: come dare un futuro all’umanità? Come garantire che non si arrivi all’estinzione della nostra specie?

Un uomo con uno scopo nella vita

Il muskismo, come lo ha definito Chiusi, si nutre a fondo di questa idea che Asimov delinea, ovvero che la scienza e in particolare la tecnologia possano garantire le soluzioni per scongiurare la fine dell’umanità. In questo senso, come lo stesso Chiusi ha dichiarato a Radio3Scienza, “Musk è qualcosa di più di un imprenditore: è un uomo in missione”. E qual è la missione? La sopravvivenza a lungo, lunghissimo termine dell’umanità. Per questo bisogna andare su Marte (trovare nuovi habitat quando la Terra non sarà più sufficiente a ospitare tutte le persone), bisogna investire in tecnologie che rechino meno danni al Pianeta e così via.

La filosofia asimoviana si fonde, in Musk, con una scuola di pensiero filosofico che si è sviluppata negli ultimi anni, soprattutto dentro all’Università di Oxford, nel Regno Unito. Va sotto il nome di longtermism o lungotermismo. Si tratta di una sorta di versione hard del pragmatismo per cui il benessere di tutte le generazioni future dell’umanità ha lo stesso valore di chi è in vita oggi. Il motto, semplificando, è: il massimo benessere per il maggior numero di persone possibile. Al lungotermismo, nelle sue varie sfumature, sono state mosse diverse critiche. Soprattutto quando prende posizioni controverse, come quella di Will MacAskill che sostiene la necessità di creare più posizioni di lavoro ad altissimo reddito – nella finanza o nel mondo degli affari – per poter guadagnare più soldi da dare in beneficenza, massimizzando in questo modo l’impatto dell’investimento di risorse.

Tra i pensatori lungotermisti, Musk sembra aver letto soprattutto Nick Bostrom e Toby Ord. Quest’ultimo è autore di un libro/manifesto dal titolo rivelatorio, The Precipice (‘Il precipizio’) che sostiene l’urgenza dell’agire per garantire la sopravvivenza dell’umanità. Proprio lo stesso tipo di urgenza che Musk mette nella sua missione personale e che fa dire a Chiusi, sempre a Radio3Scienza, che il suo comportamento non sembra essere compatibile con le critiche di chi lo accusa di usare queste tematiche per fare una montagna di soldi (Musk è uno degli uomini più ricchi del mondo). Il suo impegno sembra quindi genuino.

 
Musk è qualcosa di più di un imprenditore: è un uomo in missione Fabio Chiusi

I problemi derivano, per Chiusi, principalmente da due conseguenze del muskismo. La prima è come risponde alla domanda su quante persone siano oggi sacrificabili in visione di una salvezza futura. “Se potessi salvare un milione di vite oggi” scrive un altro lungotermista, Kieran Setiya, “o evitare che ci sia lo 0,0001% di probabilità di una prematura estinzione dell’essere umano – una chance su un milione di salvare 8 miliardi di vite – dovresti optare per quest’ultima”. L’altra conseguenza è il rischio tecnocratico: se la tecnologia e la scienza sono la soluzione ai problemi, perché esiste una tecnologia per risolvere qualsiasi problema, le decisioni non le deve prendere la politica. Musk ha sempre visto con sospetto l’intervento dello Stato, anche quello leggero della versione statunitense. Un’altra idea che è in perfetta armonia con il pensiero di uno scrittore di fantascienza, questa volta Ian M. Banks, autore del Ciclo della Cultura, in cui emerge chiaramente che nello spazio l’unica legge è quella dell’anarchia.

Per Chiusi, il muskismo oscilla quindi sempre tra due opposti. Da una parte c’è il tecno-ottimismo utopico di stampo positivista e lungotermista; dall’altra c’è un mondo distopico in cui la democrazia è superflua e una élite più o meno allargata di tecnocrati tenta di risolvere il futuro. Proprio l’aspetto più ottimista è quello che fa emergere anche l’assetto da seguaci che hanno molti dei fan di Musk: analizzano ogni sua dichiarazione come un testo rivelato, seguono qualsiasi sua iniziativa anche quando poco coerente o sconclusionata (per esempio, la vicenda del famoso sondaggio sul fatto se se ne dovesse o meno andare da amministratore delegato di Twitter).

Il telecomando come paradigma dell'azione a distanza

Questo aspetto religioso agevola il collegamento con il libro di Valerio, che ha un orizzonte più vicino e quotidiano, e non ha una pretesa di sistematicità come invece aspira ad avere Chiusi sul pensiero di Musk. La tecnologia è religione è più un breve zibaldone di pensieri sul nostro rapporto non tanto con l’idea di tecnologia, ma con le sue manifestazioni sotto forma di dispositivi. Ne è un esempio il telecomando della televisione che permette a distanza di cambiare canale, quasi come l’azione a distanza di due masse secondo la legge di gravitazione universale di Newton: effetto senza contatto. Ma ancora, si chiede Valerio, che ne sappiamo noi del perché se premiamo un tasto o facciamo una serie di gesti, il nostro smartphone si sblocca? Che differenza c’è tra questa relazione tasto-sblocco e quella danza-pioggia di molti rituali? La tecnologia, dice Valerio, funziona perché ci crediamo. 

Inoltre, per rimanere sul piano dei riti, “la tecnologia”, scrive Valerio, “crea comunità e la comunità rende possibile immaginare e officiare riti collettivi, civili o religiosi, analogici o digitali”. Si può quindi stabilire una relazione tra tecnologia, che genera comunità, e la comunità come elemento essenziale di una religione. Non è la distinzione di rito tra chi ha un iPhone e chi un telefono Android, quanto più il fatto che l’assenza di segnale, di connessione, sia oggi la definitiva forma di solitudine, di assenza di possibilità di ascolto. Altrimenti, anche se non c’è nessuno con me mentre cucino, posso chiacchierare con lo zio o l’amica usando le cuffie wireless che lasciano le mani libere. Ciò che esternamente appare come una persona che parla da sola è in realtà un solo lato di una relazione che avviene grazie alla “carne digitale”.

La tecnologia crea comunità e la comunità rende possibile immaginare e officiare riti collettivi, civili o religiosi, analogici o digitali Chiara Valerio

In fondo, possiamo provare a fare anche un passo oltre lo stimolo di Valerio. Se con Valerio ci possiamo spingere a dire che il linguaggio è una tecnologia, intendendo cioè un dispositivo che risolve un problema pratico (comunicare), allora anche il Cristianesimo si basa su una tecnologia, a cominciare dal celebre inizio del Vangelo di Giovanni: “In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio”. 

Seppur da prospettive e con scopi molto diversi, i due libri di Chiusi e Valerio ci mostrano come per parlare di tecnologia oggi, come sempre, non si possa trascurare la filosofia, l’antropologia, la teologia e molte altre tecnologie. Ovvero, come - parafrasando un celebre motto del Novecento - la tecnologia sia troppo importante per lasciarla ai soli tecnici. 

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012