Sono non uno, ma tre i testi di D’Annunzio - discorsi, articoli, manifesti – posti al centro di questa puntata: la Lettera ai Dalmati, pubblicata il 14 gennaio 1919 dall’antico quotidiano di destra, la “Gazzetta di Venezia”; il discorso dalla Loggetta del Sansovino, sotto il campanile di San Marco, a Venezia, il 25 aprile 1919; il discorso non pronunciato di Roma, Teatro Augusteo, a fine giugno, noto per il “Disobbedisco!”, autolegittimazione a sovvertire il laconico telegramma dell’Eroe dei due mondi nel 1866, giocando il doppio ruolo di Garibaldi e anti-Garibaldi.
Ambivalenza che è un segno dei tempi. Sono tre schegge incandescenti di oralità e scrittura in una profluvie di parole e di gesti dell’autodefinito “parlatore di battaglia”: precedono e legittimano ciò che una frase fatta chiama l’impresa di Fiume. Autore, regista, coreografo, personaggio, il nuovo autoinvestito ‘Garibaldi’ né di destra né di sinistra, o al di là della destra e al di là della sinistra. È il 5 Maggio 1915, dallo scoglio di Quarto, che gli fa il verso.
Marinetti, il futurista, proclamava prima della guerra Trieste “la nostra rossa polveriera”. D’Annunzio usa Fiume, l’Istria, la Dalmazia, l’Adriatico, prima e durante la guerra, per fondare una politica estera espansionista, alzando la posta dell’occupazione che si legittima come liberazione. Trento e Trieste non gli bastano. Sarebbe una “vittoria mutilata”, troppo cauta e ammodo. Gli Slavi non contano, barbari senza storia, masse brute a cui danno vincolo e legge, da secoli, le città della costa, coi loro simboli di civiltà millenaria, siano colonne romane o leoni marciani.
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Molto più che un nazionalismo incentrato su Roma, il suo è un nazionalismo incentrato su Venezia. Visto dalla Casetta Rossa sul Canal Grande, l’Adriatico è il golfo di Venezia e non ammette intrusi sull’ ‘altra sponda’. Una Venezia che il Poeta-Vate sposta e incardina nel suo Imperoda Mar riattualizzato, trascurando come riduttiva e postuma la Venezia provincia di uno Stato nazionale. Quest’ultima formula politica, giovane allora di poco più che mezzo secolo, è nella penisola internamente insidiata ed erosa da storie, tradizioni e memorie diverse: le città-stato dell’età comunale e signorile; e, appunto, i reperti ed echi delle strutture aperte e in divenire degli organismi imperiali, sconfinanti per natura, che il montante nazionalismo e D’Annunzio vanno rinverdendo e orchestrando - il poeta, in particolare, nella sua versione veneziana. Da quando venticinque anni prima si è venezianizzato con l’allocuzione vaticinante che chiude la prima Esposizione d’arte - nucleo generatore del romanzo veneziano Il Fuoco (1900) - il poeta accende le polveri impugnando il passato della Serenissima come arma politica del presente.
Parlare, scrivere, comunicare per gesta spettacolari seducendo le folle vale a rinnovare le forme dell’azione di comando nell’età delle masse. E se Fiume non c’è nella vecchia diplomazia segreta del Patto di Londra (1915), ora, nel 1919, c’è perché Mas ed aerei hanno preso possesso di quegli spazi per diritto di conquista: averli tolti all’antico Impero asburgico imploso, non può significare ora regalarli a una qualunque Jugoslavia: “Chi violò il Quarnaro nella notte di Buccari, volle riempire la lacuna del Patto di Londra.” (Lettera, 21). “La civiltà non è se non lo splendore della lotta incessante. Quando l’uomo non sia più lupo all’uomo, la nazione alla nazione sarà e dovrà sempre essere leonessa.” (28)
Posto il criterio generale – la politica estera è l’essenza della politica e la politica è Darwin - l’applicazione segue. 25 aprile, dalla Loggetta, nel giorno del Santo Patrono e sotto il campanile di S.Marco: “Volete dunque che io parli ?” […] Grande acclamazione. Grida di Viva Fiume! “E lo stendardo dei Dalmati stamani al sole riprende il suo colore originario: il rosso. In tutte le nostre bandiere stamani il rosso predomina. Che c’importa ormai del verde? Che c’importa della speranza? Noi non speriamo più, ma vogliamo. Intendete? Vogliamo. Ripetete questo verbo”.
Tutto il popolo grida: ’Vogliamo!’ (“Contro uno e contro tutti”, 1919, p. 27)
Non è più tempo di “Corriere della sera”, disadatto a questa guerra da corsa, ai bordi e a sfida delle istituzioni. D’Annunzio trova sbocco nei quotidiani della destra vecchia e nuova - “Gazzetta di Venezia”, “ Idea Nazionale” - o anche nell’ancora oscillante “Popolo d’Italia” .Il 23 giugno esce Il comando passa al popolo , titolo di sinistra in un giornale di estrema destra, reso inquietante ed equivoco dalla sede, che è il quotidiano dei nazionalisti, l’”Idea nazionale” ; quello stesso giorno , a Roma, D’Annunzio si incontra con Mussolini ed è ricevuto dal Re , mentre al Governo Orlando succede il governo Nitti . Giorno e mese cruciali, a Fiume si costituiscono legioni di volontari, si vocifera di possibili colpi di mano di comparti dell’esercito, non solo in relazione a Fiume, ma a Roma. Sovversivismo dall’alto, da molto in alto, generali, gli Aosta, secondo ramo della dinastia.
Il terzo affondo politico, pensato per il congresso nazionale degli ex-combattenti, soggetto e bandiera di questo brulichio di sentimenti e comportamenti sediziosi, si trasforma all’ultimo da discorso in un articolo-manifesto sull’”Idea nazionale” (1luglio).
“Ci fu chi credette ch’io fossi per dire: ‘Obbedisco’. Il verbo è vecchio, se bene garibaldino; e i tempi sono mutati, se bene sembri che siano in utile regresso verso il 1910 o giù di lì. Lasciamo le parole storiche ai libri scolastici approvati dai ‘superiori’. Dissi invece a voce chiara, a testa alta: ’Disubbidisco’.” (“Contro uno e contro tutti”, 1919, p.219).