Woody Allen e Selena Gomez durante le riprese di "Un giorno di pioggia a New York"
Pochi giorni fa è uscito nelle sale italiane Un giorno di pioggia a New York, il nuovo film di Woody Allen: una commedia romantica che racconta il weekend di una giovane coppia nella Big Apple. Non è, in sé, una notizia sorprendente. È il quarantanovesimo lungometraggio dell’autore di Manhattan in 53 anni di carriera: quasi un film all’anno, senza contare le sceneggiature, i corti, la televisione. E di certo non è uno dei titoli più interessanti della sua filmografia. La storia, ambientata in una Manhattan autunnale e piovosa che luccica nella fotografia di Vittorio Storaro, appartiene a quel repertorio di perfette e manierate "macchine da commedia" che Allen inanella ormai da decenni: ritmi serrati, scenografie magistrali, dialoghi brillanti, qualche battuta formidabile (ma nemmeno tante, stavolta) e ben poca originalità, sia nella sceneggiatura in generale che nella definizione dei personaggi.
Più interessante è considerare che l’ultima opera di Woody è stata girata nel 2017, per quasi due anni è rimasta bloccata, e tuttora negli Stati Uniti non ne è previsto alcun debutto sugli schermi. Il film ha esordito al cinema nella maggior parte d’Europa e in America Latina solo questo autunno. Comunque la si pensi sul lavoro di Allen, è come se in Francia tenessero nel cassetto un film con Catherine Deneuve, o in Spagna un Almodóvar aspettasse da due anni il visto di censura. Perché è successo? L’impasse è dovuta alla rottura dell’accordo tra Allen e Amazon Studios, la società del gruppo di Bezos che produce e distribuisce prodotti per cinema e tv. Dopo aver collaborato per Café Society e La ruota delle meraviglie, ad agosto 2017 Amazon firma un contratto con Allen per i quattro film successivi. Pochi mesi dopo, l’esplosione dello scandalo Weinstein e della campagna #MeToo contro le molestie sessuali vede in prima fila due figli di Allen e Mia Farrow: Ronan, i cui i reportage su Weinstein contribuiscono a far luce sul caso, e Dylan, che rinnova le accuse di abuso sessuale nei suoi confronti da parte dello stesso Woody. Un caso che risale al 1992, quando Dylan (adottata prima dalla Farrow e poi dallo stesso Allen) aveva sette anni. L’accusa era stata un elemento centrale della disputa legale seguita alla rottura tra Allen e la Farrow: crisi dovuta alla scoperta della relazione tra il regista e Soon-Yi Previn, figlia adottiva della Farrow e del musicista André Previn. Malgrado l’indagine contro Allen si sia definitivamente chiusa senza addebiti a metà degli anni Novanta, le rinnovate accuse di Dylan (“Perché la rivoluzione #MeToo ha risparmiato Woody Allen?”) portano un gran numero di attori di Hollywood a prendere le distanze dal regista e, nel caso avessero lavorato con lui nel passato, a esprimere rincrescimento per la scelta.
L’ondata di discredito investe anche l’accordo con Amazon Studios, finita nel frattempo nel mirino anche per un altro scandalo: il grande capo, Roy Price, viene accusato di molestie sessuali da una collega e rassegna le dimissioni. Amazon nel giugno 2018 rescinde il contratto con Allen. Nel frattempo, tra la fine del 2017 e il 2018, molti tra gli attori principali di Un giorno di pioggia a New York (ancora un oggetto misterioso perché mai uscito nelle sale) donano il compenso ricevuto per il film ad associazioni no profit, in particolare ad alcune impegnate contro gli abusi sessuali. Una parte dei protagonisti esprime dispiacere per aver lavorato con Woody Allen, promettendo che non accadrà più. Altri, come Jude Law e Elle Fanning, sono più prudenti, pur non schierandosi in difesa di Allen: Law comunque definisce “una vergogna” la scelta di Amazon di ritirare il film dalle sale. Woody reagisce inizialmente alla campagna #MeToo parlando di “caccia alle streghe”; in seguito dichiara di appoggiare il movimento, affermando di non aver mai ricevuto una sola critica da parte delle donne con cui ha lavorato in mezzo secolo di carriera. Amazon motiva la rottura dell’accordo proprio con il danno d’immagine che sarebbe stato causato dalle prime dichiarazioni di Allen sull’argomento.
“ L'establishment hollywoodiano ha deciso: Woody non dovrà lavorare mai più
Mentre Un giorno di pioggia rimane in cerca di distribuzione negli Stati Uniti, l’immagine pubblica di Woody rimane compromessa. Un suo libro di memorie è stato rifiutato da tutte le case editrici cui è stato proposto. Il film cui Allen sta lavorando in queste settimane, Rifkin’s Festival, è girato a San Sebastián, in Spagna, e finanziato da Mediapro, colosso spagnolo (ora controllato da un fondo cinese) già coproduttore di due campioni di incassi di Woody, Vicky Cristina Barcelona e soprattutto Midnight in Paris. Si direbbe quindi che Woody torni a rifugiarsi in Europa, al punto che c’è chi è arrivato a chiedersi se Un giorno di pioggia sarà l’ultimo film americano di un autore che ha fatto di New York il perno di tutta la sua estetica. Questo vale anche per gli attori: è noto che Woody è riuscito a coinvolgere nei suoi film moltissime star perché, pur di realizzare film con lui, tutti erano disposti a ridimensionare drasticamente le cifre richieste. Ora il meccanismo sembra invertito: a riprese appena iniziate, la protagonista di Rifkin’s Festival, Gina Gershon, si è sentita costretta a giustificarsi, affermando che Woody “non è un predatore sessuale”.
Forse è il caso di riflettere un po’. Le vicende personali di Woody Allen sono note da decenni. La guerra legale con Mia Farrow ha visto scontri sanguinosi durati decenni all’interno del suo clan familiare. I suoi comportamenti privati appaiono ai più, quantomeno, fortemente controversi. Le molteplici storie con ragazze giovanissime, il rapporto non equilibrato con i figli, la relazione e il successivo matrimonio con Soon-Yi, figlia adottiva di sua moglie, hanno suscitato critiche feroci e articolate ipotesi sul suo profilo psicologico e le sue tendenze sessuali. Ma in nessuna circostanza, ad oggi, Woody Allen è stato incriminato. E delle accuse che gli sono state mosse, comunque, nessuna riguarda la sua condotta professionale. Tuttavia la sentenza che l’establishment hollywoodiano ha pronunciato è inappellabile: il regista premio Oscar per Io e Annie non deve più lavorare. A gennaio, alcuni importanti critici cinematografici italiani hanno firmato un appello per la diffusione internazionale di Un giorno di pioggia a New York, nel quale tra l’altro scrivono: “Crediamo che impedire al pubblico e alla critica di vedere un film, pur se per i motivi più nobili, sia la spia di una pericolosa visione autoritaria della creazione artistica”. Si potrebbe aggiungere: la credibilità di un movimento che tanti risultati ha raggiunto contro il malcostume, la corruzione, la sopraffazione, è anche legata a quanto quel movimento dimostri di saper distinguere i fatti dalle ipotesi, le prove dai sospetti, nel rispetto della presunzione di innocenza. Intanto, pochi giorni fa Woody e Amazon hanno chiuso la vertenza con un accordo extragiudiziale. È tempo che l’ultima opera di Allen, bella o brutta che sia, esca negli States, e sia giudicata soltanto per il suo valore artistico. Altrimenti anche chi di Woody pensa tutto il male possibile sospetterà che contro il regista sia in corso un accanimento mediatico a sfondo legal-moralistico. E sarà costretto a meditare sulla battuta di Sleeper: “Ci sono persone eterosessuali, altri sono bisessuali, altri non sono per niente interessati al sesso. Questi fanno gli avvocati”.