La frontiera Kapitan Andreevo tra Bulgaria e Turchia. Foto: Reuters
C’è un’enorme falla nella cerniera più a Est dell’Unione Europea, al confine di Kapitan Andreevo, che separa la Bulgaria dalla Turchia. Almeno stando alle parole del premier uscente del governo bulgaro, Kiril Petkov, che era salito alla guida del governo con l’intento dichiarato di spazzare via la corruzione dal paese. Ma che dopo appena sette mesi di lavoro a capo di un’eterogenea coalizione (si era insediato il 13 dicembre dello scorso anno) è stato costretto a rinunciare all’incarico, per l’improvvisa defezione di un partito suo alleato, che ha mandato il governo in minoranza, rovesciandolo con un voto di sfiducia. Il che potrebbe spalancare le porte a una nuova tornata elettorale, se nel frattempo nessuna forza politica sarà in grado di formare un esecutivo. Appuntamento al prossimo ottobre: e si tratterà della quarta consultazione dall’aprile del 2021. La debolezza della politica non è un’esclusiva della Bulgaria: ma l’allarme lanciato sui loschi affari che da almeno dieci anni accadono al checkpoint di Kapitan Andreevo (Kapikule è il nome del valico sul versante della Turchia, a 260 chilometri da Istanbul), tra i più trafficati d’Europa e principale punto d’ingresso delle merci turche, è qualcosa che riguarda da vicino l’intera Unione Europea. Più che una novità è una conferma. Da anni è proprio la “fragilità” di quella frontiera, oltre alle continue segnalazioni di corruzione, tangenti e minacce che da anni aleggiano sul checkpoint, una delle ragioni per cui alla Bulgaria (che fa parte dell’Unione Europea dal 2007) non è stato ancora permesso di entrare nell’area Schengen, di libero scambio di merci e di persone. «La situazione a Kapitan Andreevo era un segreto pubblico», ha sostenuto Konstantin Bachiyski, deputato del partito del premier, “We Continue the Change”, d’ispirazione centrista, liberale ed europeista. «In passato, tutti sapevano, ma nessuno ha mai voluto davvero scoprire cosa accadeva. Fino a pochi mesi fa la corruzione al confine era possibile perché la politica di alto livello forniva un ombrello a protezione dell’attività criminale».
Una partita di eroina sequestrata di recente al confine bulgaro-turco. Foto: Reuters
Ma questa volta non si tratta “soltanto” dell’enorme questione del traffico di droga (è assodato che passa da lì la principale rotta dell’eroina, che dall’Afghanistan, attraversando tutta la Turchia, arriva nell’UE, via Bulgaria o Grecia). Oggi si parla apertamente del mercato agroalimentare. Di merci che sono entrate senza alcun controllo nel territorio dell’UE e che sono finite direttamente nelle catene di distribuzione. Perché oltre 10 anni fa il controllo fitosanitario e veterinario degli alimenti in transito a Kapitan Andreevo era stato appaltato, per decisione dei precedenti governi bulgari (nel 2011 l’esecutivo era retto da Gerb, partito conservatore-populista di destra) a una società privata, la Evrolab 2011. Lo scorso gennaio, un mese dopo la formazione del nuovo governo, il viceministro dell’agricoltura Ivan Hristanov aveva chiesto di analizzare le attività svolte al posto di frontiera. Il giorno successivo aveva ricevuto un messaggio esplicito di minacce: “Siamo in guerra con te? O avremo la pace?”. Da allora il viceministro, con i suoi familiari, vive sotto scorta. Ma a quel punto il primo ministro Petkov ha deciso di inviare a Kapitan Andreevo una squadra di esperti per ispezionare il sito. Il risultato è stato sconcertante. Petkov ha riferito che i controlli fitosanitari sulle merci, semplicemente, non venivano svolti. Che le telecamere che avrebbero dovuto registrare le ispezioni erano perennemente spente. Che i camion che importavano cibo dalla Turchia venivano scaricati senza la presenza dei doganieri, dunque senza il minimo controllo. Poteva passare di tutto, ma soltanto dalle aziende che pagavano tangenti ai funzionari della Evrolab. Secondo il viceministro dell’agricoltura Hristanov «ci sono prove che gli alimenti entrati nel territorio dell’Unione Europea senza adeguati controlli contenessero livelli anormali di pesticidi».
Un confine “privato”
Il premier Petkov l’ha detto chiaramente: «Quel confine era in mano a organizzazioni criminali collegate con la mafia bulgara». Era, perché il governo ha immediatamente deciso di sollevare dall’incarico la società Evrolab 2011: i controlli di laboratorio sono così tornati sotto la responsabilità diretta dello stato. Il responsabile dell'agenzia bulgara per la protezione alimentare, Hristo Daskalov, ha reso noto che gli è stata anche offerta una “sostanziosa tangente” per consentire a Evrolab 2011 di continuare a occuparsi del controllo fitosanitario di frontiera: richiesta respinta e pubblica denuncia dell’accaduto. Assen Vassilev, ministro delle finanze del governo uscente, l’ha definito “un confine privato”. Il 14 giugno scorso lo stesso Vassilev ha chiesto aiuto al suo omologo tedesco, Christian Lindner, di inviare a Kapitan Andreevo esperti doganali tedeschi per aiutarli a “ripulire la corruzione dal checkpoint”. Da allora è stato un precipitare degli eventi. Il mese scorso Slavi Trifonov, un controverso ex comico e presentatore televisivo, leader del partito populista di centrodestra “There Are Such People”, ha improvvisamente deciso di abbandonare la coalizione di governo, dando ragione a quanti dubitavano della sua capacità di “tenuta” nella coalizione. Il partito di opposizione Gerb, guidato dal potentissimo ex premier Boyko Borissov, ha lanciato parole di fuoco contro l’esecutivo, presentando una mozione di sfiducia che è stata approvata dal Parlamento (123 voti a favore, contro 116), il che ha spalancato le porte a nuove elezioni. A Petkov, leader del partito We Continue the Change, non è rimasto che prendere atto della sconfitta: «Questo voto è solo un piccolo passo in una strada molto lunga», ha commentato. Salvo poi promettere che fino all’ultimo giorno (il governo resterà in carica fino alla formazione del nuovo) avrebbe continuato a lottare contro la corruzione dilagante. Formalmente a scatenare la crisi è stata una controversia con l’opposizione sulle spese di bilancio e sul progetto di adesione all’Ue della Macedonia del Nord. Ma sono in molti ad accusare apertamente Slavi Trifonov di aver fatto mancare il proprio appoggio al governo proprio in seguito alla decisione di estromettere la società privata Evrolab 2011 dalla gestione dei controlli alla frontiera di Kapitan Andreevo. Tensioni ulteriormente cresciute dopo la decisione del governo Petkov di prendere una chiara posizione pro-Nato e contro l’invasione della Russia in Ucraina: prima rimuovendo il suo ministro della Difesa, per essersi rifiutato di definirla "guerra". Poi rifiutandosi di pagare in rubli le forniture di gas russo (il che aveva spinto Mosca a interromperele forniture). Infine espellendo 70 diplomatici (decisione successiva al voto di sfiducia), tra i quali si sospettava si nascondessero anche spie. Un passo senza precedenti per una nazione che è stata sempre “docile” nei confronti del Cremlino: evidentemente qualcuno non ha gradito.
Le vicende “gemelle” di Bulgaria e Israele
Ora la palla tornerà di nuovo agli elettori, in un curioso parallelismo che sembra legare le più recenti vicende politiche di Bulgaria e di Israele. In entrambi i Parlamenti incombe la minaccia di un ex premier nazionalista di destra con molti anni (forse troppi) di esperienza alle spalle, ma rincorso da accuse di corruzione e ormai inviso all’intero Parlamento, al punto che è quasi impossibile per loro formare nuove coalizioni: Boyko Borissov e Bibi Netanyahu. Entrambi finiti all’opposizione dopo due anni di turbolenze politiche, ma che ora hanno una nuova opportunità di rinascita, dopo il fallimento delle coalizioni nate con il solo intento di mandarli all’opposizione, ma che si sono poi rivelate troppo fragili all’atto pratico. Storie diversissime (politicamente, culturalmente, geograficamente) ma che per una curiosa fatalità collimano al millimetro per modi e tempi.
Le tappe della crisi bulgara sono ormai segnate. Dopo il passo indietro di We Continue the Change, partito che aveva ottenuto più voti nell’ultima tornata elettorale, il presidente della Bulgaria Rumen Radev chiederà al secondo partito con più voti (Gerb) un tentativo per formare un nuovo governo. Ma Borissov, assai gradito a Mosca, ha già declinato l’invito. Evidentemente conta di sfruttare il fallimento del governo uscente in chiave elettorale, per far presa sugli indecisi e sull’enorme percentuale di astenuti, ben oltre il 50%. Per accreditarsi come unica forza in grado di garantire stabilità. Petkov rilancerà invece la sua candidatura, sempre battendo sulla lotta alla corruzione e sulla svolta europeista, che potrebbe sbloccare i fondi necessari a sostenere un’economia da sempre in difficoltà. La Bulgaria è tra i paesi più poveri d’Europa: si stima che il 65% della popolazione riesca a malapena a coprire le spese per i propri fabbisogni. Il Pil pro-capite è di 12,77 euro. Le elezioni di ottobre, ammesso che offrano risultati “chiari”, saranno dunque uno spartiacque per il futuro posizionamento della Bulgaria (sotto l’influenza, chiamiamola così, di Bruxelles o di Mosca). E anche per capire che fine farà l’impegno a mantenere controlli più rigorosi alla frontiera di Kapitan Andreevo, sottraendo spazi vitali alla criminalità organizzata. Un tema che comunque è finalmente arrivato all’attenzione di Bruxelles (nel 2017 un’interrogazione presentata da un europarlamentare olandese, che denunciava corruzioni e tangenti a quel valico di frontiera, era stata sostanzialmente ignorata). Pochi giorni fa un team di esperti dell’Unione Europea è stato inviato a controllare la situazione del confine e il rispetto delle norme comunitarie. Un funzionario della Commissione ha detto comunque che «per il momento non ci sono prove che la salute pubblica, animale o vegetale sia stata in qualche modo compromessa». Ma è indubbio che quel confine non è una questione che riguarda soltanto la Bulgaria: una risposta chiara e forte da parte dell’UE prima o poi dovrà arrivare
Difficile fare previsioni su quel che accadrà in Bulgaria nell’immediato futuro. Nell’ultimo studio pubblicato dall’organizzazione indipendente Globsec, la Bulgaria ha registrato il più drastico calo di “simpatie” nei confronti di Mosca, in tutta Europa, dopo l’invasione in Ucraina. La percentuale di elettori che vedono la Russia come un “partner strategico” è calata dal 45% del 2021 al 30% attuale. Ancor più evidente il crollo dei consensi per la figura di Vladimir Putin: dal 70% dello scorso anno al 29% attuale. «Questo condanna – si legge nel report - i partiti filo-russi della Bulgaria, a ricoprire ruoli secondari, impedendo loro di guidare un governo in tempi brevi».