Chiunque abbia mai ricevuto una critica costruttiva sa quanto questa diventi utile una volta superato il disagio di non aver ricevuto un commento entusiastico. Le possibilità che un lavoro sia perfetto al 100% sono molto basse, ma aumentano man mano che ci mettiamo alla prova, imparando dagli errori precedenti. È necessario però che qualcuno li rilevi, e non è detto che accada, perché spesso si preferisce liquidare come perfetto un lavoro tutto sommato buono anche se contiene delle imperfezioni, un po' per non fare la fatica di proporre delle modifiche, e un po' perché molti pensano di risultare sgradevoli quando fanno notare ciò che non va.
Nel secondo caso, però, è una preoccupazione inutile, come conferma una ricerca pubblicata sul Journal of Personality and Social Psychology da Nicole Abi-Esber, Jennifer E. Abel, Juliana Schroeder e Francesca Gino.
Questa ricerca ha dimostrato che le persone sottostimano il desiderio altrui di ricevere critiche costruttive, anche se, a ruoli invertiti, si rendono conto della loro utilità: basti pensare anche solo a quando scopriamo di essere andati in giro per ore con un pezzo di insalata incastrato tra i denti e ci chiediamo perché nessuno si sia sognato di farcelo notare, salvo poi renderci conto che siamo i primi a farci scrupoli analoghi. È normale, visto che durante l'esperimento pilota i ricercatori hanno scoperto che solo il 2.6% del campione di 155 partecipanti avvisava gli interlocutori di vistose macchie sul loro viso. Le motivazioni di un numero così basso venivano chieste direttamente in una domanda aperta e suddivise in due macro categorie: nella prima si consideravano gli effetti sulla persona che faceva la critica, nella seconda sull'interlocutore. Il 37% dei commenti era egoriferito, nel senso che il soggetto non voleva apparire scortese o riteneva di non essere tenuto a rilevare la macchia, mentre il 40% dei commenti dimostrava preoccupazione per l'impatto che la critica avrebbe avuto sull'interlocutore e per finire il 23% dei commenti conteneva altre ragioni. Solo il 3% del campione ha rilevato in qualche modo che il commento avrebbe potuto essere utile per correggere il comportamento. Quando in un secondo tempo ai partecipanti è stato svelato il contenuto dell'esperimento, questi hanno stimato che in una scala da uno a 10 il desiderio di ricevere una critica si situava a livello 5.73.
Dopo lo studio pilota, sono stati fatti altri cinque esperimenti su un campione di 1984 persone.
In tutti questi esperimenti si verificavano tre condizioni: ogni situazione era facilmente risolvibile dal destinatario della critica dopo aver ricevuto l'informazione, nessuno di loro era precedentemente consapevole del problema e la critica avrebbe portato un sicuro beneficio al destinatario, che avrebbe potuto apportare delle correzioni.
Nei cinque esperimenti i soggetti sono stati messi di fronte a 10 situazioni imbarazzanti che si verificavano sul posto di lavoro in conseguenza delle quali avrebbero potuto dare o ricevere un feedback, e gli è stato richiesto di ricordare situazioni analoghe in cui avevano sentito il bisogno di ricevere un riscontro e situazioni in cui avevano fornito questo stesso riscontro ad altri colleghi. Questi esperimenti hanno confermato l'ipotesi che le persone che potrebbero fornire informazioni utili per migliorare sottovalutano il desiderio di riceverle nel destinatario di queste critiche. Nell'esperimento pilota su una scala da 1 a 10 si stimava che il desiderio di ricevere questi suggerimenti si situasse più o meno a metà, mentre chiedendo agli intervistati la risposta media superava il 7. Più il feedback ha un rapporto diretto con ciò che sta succedendo (per esempio se qualcuno deve tenere un discorso e lo fa leggere a chi dovrebbe fornire la critica), e quindi può avere un immediato effetto positivo, più, paradossalmente, siamo restii a fornire il feedback, sia per il timore di essere percepiti negativamente, sia perché dare dei suggerimenti richiede un certo sforzo, e gli esseri umani sono portati a evitarli, soprattutto quando non vedono un buon motivo per compierli.
Anche su questo aspetto si concentra il lavoro di Abi-Esber e dei suoi colleghi: secondo loro il motivo della mancata critica non è solo il timore di creare imbarazzo nell'altra persona, ma anche la sottovalutazione dell'impatto positivo che il loro intervento potrebbe avere. In altre parole, non pensiamo che la nostra azione possa avere un effetto particolare nella vita altrui, quindi evitiamo di compiere uno sforzo in questa direzione. Ricapitolando, secondo l'ipotesi dei ricercatori sarebbero tre le variabili che, anche senza pensarci troppo, ostacolano le nostre critiche costruttive: da una parte valutiamo lo svantaggio che potrebbe derivarcene (sia nell'ottica dello sforzo sia utilizzando il criterio di ricerca della popolarità), mentre sull'altro piatto della bilancia mettiamo i vantaggi che secondo noi le persone guadagnerebbero, e li reputiamo esigui, specie se rapportati al disagio che potremmo creare in prima battuta, quindi il primo piatto va a fondo. Per finire, alcune persone sono effettivamente restie ad accettare critiche, quindi proiettano questa loro idiosincrasia sull'interlocutore, che invece magari le riterrebbe utili. Per tutti questi motivi sottostimiamo il desiderio degli altri di ricevere suggerimenti, anche critici: ci è più comodo e ci risparmia molti problemi.
In conclusione: il valore della critica è molto più chiaro a chi la deve ricevere che a chi è in condizione di fornirla. Come si può uscire da questo gap? In modo relativamente semplice: i ricercatori, infatti, hanno notato che i soggetti diventavano più propensi a dare i feedback quando venivano invitati a mettersi nei panni degli interlocutori, proprio perché in questo modo diventava chiaro sia l'effetto positivo di una critica costruttiva sia il desiderio di riceverla. In caso di difficoltà, quindi, si può utilizzare questa tecnica per ottenere i tanto agognati suggerimenti per migliorare il nostro lavoro. Nel caso delle macchie, invece, non possiamo certo chiedere in continuazione se per caso le nostre camicie non sono immacolate, perché risulteremmo un po' pesanti. Anche qui, però, la soluzione è dietro l'angolo: ci si può guardare allo specchio, ma se non ce n'è uno a portata di mano la telecamera frontale del cellulare farà comunque un buon lavoro.