SOCIETÀ

Padova, città delle bambine e dei bambini?

Se vi è capitato di fare le scale di Palazzo Moroni,dove ha sede il municipio di Padova, avrete visto la targa con un grazioso logo, un quadro composto di figure geometriche in tre dimensioni, disegnate e colorate. Si vede in punta di piedi una bimba con grembiule sopra quattro differenti edifici stilizzati, si tratta di un premio ricevuto, il riconoscimento ufficiale del ministero dell’Ambiente alle “città sostenibili delle bambine e dei bambini”! Forse qualcuno lo ricorda, fu assegnato nel 1998, venti anni fa, al comune, che aveva in corso il progetto “Padova, la città educativa, la città per i bambini – i bambini per la città”.

Era un cambiamento di prospettiva politica e istituzionale, sia locale che nazionale. Nel 1997 il governo di allora ebbe l’idea di considerare l’infanzia come indicatore biologico e culturale della sostenibilità urbana. Ne derivò il progetto delle città sostenibili e un premio ogni anno ai comuni che realizzavano l’intervento più organico e le migliori iniziative a favore dei propri minorenni (che non votavano e non votano). Ovviamente c’erano alle spalle qualche premessa internazionale (la Convenzione sui diritti dell’infanzia del 1989, l’Agenda XXI di Rio del 1992), molta letteratura scientifica, notevoli diffuse esperienze concrete sia in Europa che nel nostro paese: progettare o almeno ripensare i luoghi di vita a misura dei più piccoli. 

Non esisteva né può esistere una città ideale per l’infanzia, mettere in campo i bambini significa migliorare la qualità della vita di tutti, secondo indicatori non solo ambientali (gli inquinamenti) e non solo quantitativi (in percentuale). Alcuni pubblici amministratori lasciarono spazio alla fantasia: partecipazione organizzata, nuova mobilità, spazi per giocare all’aperto senza correre rischi, aree esplorabili, ambiti dedicati di condominio e quartiere, cartellonistica non pubblicitaria all’altezza giusta, rapporti con piante e animali, educazione ambientale, socializzazioni fra coetanei e intergenerazionali agevoli e facilitate, sempre attenti a non discriminare. Azioni positive riguardavano le aree residenziali e le strade urbane, i cortili e i giardini scolastici, la salute e i servizi sociali, i percorsi casa-scuola (con anziani e aree verdi lungo vie camminabili e ciclabili), l’incontro periodico di sindaco e assessori con gruppi di ragazzi, la definizione del piano regolatore e la progettazione dei parchi cittadini e degli edifici collettivi (compresi ospedali, teatri, cinema, biblioteche) anche dal punto di vista (udito, sguardo, gusto) delle bambine e dei bambini, sempre considerando le differenze di genere.

Della giuria che valutava la documentazione (domanda e allegati inviati dai comuni) facevano parte alcuni ragazzi e già quello comportò la necessità di dover risolvere il grande problema amministrativo (posto dalla Corte dei Conti) di un’assegnazione in denaro decisa anche da chi aveva inevitabilmente insufficienti capacità di intendere e volere, conseguenza giuridica della minore età. Nel 1998, alla prima edizione, parteciparono 80 comuni con popolazione di almeno 15.000 abitanti, 14 ebbero il riconoscimento ufficiale di qualità, Padova fra loro. Non si cercava un vincitore assoluto. Non partecipavano le migliaia di piccoli comuni (dove pure qualcosa si faceva), già proporsi era complicato visto che in molte realtà non c’erano specifiche attività organizzate, si voleva valorizzare l’impegno a dedicare tempo, idee e iniziative verso una fascia “debole” della popolazione urbana, senza che tutto dovesse essere delegato a benemerite famiglie e scuole.

Fu un successo. Nel 1998 parteciparono 132 comuni, nel 2000 182, nel 2001 125, tante domande anche negli anni successivi, sono circa un centinaio i differenti comuni riconosciuti come “attivi” in favore della sostenibilità urbana per bambine e bambini, tanto al Sud quanto nel centro-Nord. Certo, il contributo non era milionario, tuttavia, oltre al premio in denaro, ogni anno il Ministero stampava e distribuiva dieci mila copie di una corposa guida delle best practices(pratiche realizzate, dati, esperienze, consigli), faceva girare una bella mostra itinerante delle città coinvolte, inoltre promosse quattro forum internazionali Ministero dell’Ambiente, d’intesa con Unicef e Ministero degli Esteri), coinvolse le associazioni che lavoravano con i ragazzi nel progetto e nella formazione del personale, sostenne varie forme di “democrazia in erba” come i consigli comunali dei ragazzi, attivò pure un centro di documentazione, uno sportello informativo e un sito internet (allora erano rari). Nel 2000 il progetto venne inserito in un articolo di legge approvato da Camera e Senato quasi alla scadenza della legislatura 1996-2001, su proposta (e poi con il voto all’unanimità) sia della maggioranza che dell’opposizione. Da allora, è legge della Repubblica italiana. Nelle legislature successive, tuttavia, non fu più portato avanti.

Questo non significa che siano terminate le iniziative da parte di comuni e istituzioni. Al contrario. In questi venti anni molte regioni e ancor più comuni hanno definito norme, regolamenti, progetti per consentire la partecipazione dei minori alle scelte collettive, lo hanno continuato a fare alcune delle città coinvolte allora, altre si sono aggiunte. Del resto, lo prevede proprio quell’articolo della Convenzione Onu che chiede di associare i bambini alle decisioni che li riguardano. Varrebbe pure in famiglia, certamente vale per le istituzioni pubbliche. Le bambine e i bambini meritano cure parentali, ben sappiamo che per proteggerli davvero vanno interessati e coinvolti con iniziative educative e responsabilizzanti. Sotto questo punto di vista, complessivamente e mediamente, in questo ventennio le città italiane non sono divenute più amiche dei bambini; gli indicatoridi salubrità, accessibilità, contatto con la natura, qualità dell’aria, partecipazione e rappresentanza stanno lì a ricordarcelo.

Uno sviluppo sostenibile impone di lasciare alle future generazioni almeno quante risorse erano e sono a disposizione delle generazioni passate e presenti, riguarda dunque i bimbi che sono nati e nasceranno dagli adulti di oggi. In Italia le persone tra 0 e 14 anni (tra nascita e fanciullezza) sono il 13,7 per cento del totale della popolazione, in Veneto la percentuale è la stessa nazionale (13,8) fra il minimo della Liguria (11,5) e di Molise e Sardegna (11,8) e il massimo di Campania (15,2) e Trentino Alto Adige (15,4). Uno su 7 di coloro che incontrate nella giornata di oggi dovrebbe essere piccolo, per capirci. Un bimbo è già un cittadino, ha davanti un percorso scolastico che lo porterà (quando già sarà adolescente con i delicati aspetti che conosciamo) ad acquisirne tutti i diritti e doveri, a un certo punto si porrà il problema del se e del come proseguire gli studi. Non lasciamo sole le cellule familiari deputate a farli diventare autonomi cittadini di una democrazia repubblicana. Non lasciamo soli gli scienziati e gli ecologisti a promuovere per loro uno sviluppo meno insostenibile.

Un progetto cittadino aggiornato per una vita sostenibile delle bambine e dei bambini di Padova può vedere associarsi Comune e Università. Penso a una celebrazione e rivisitazione critica delle attività del 1998, verificando quanto si è consolidato, quanto è tornato nel cassetto, quanto resta urgente, con il contributo di docenti di praticamente tutti i corsi di laurea (agraria come ingegneria, medicina come psicologia, scienze come beni culturali). Penso all’Orto Botanico e al Giardino della Biodiversitàche sono strutture accademiche a disposizione di un enorme pubblico non limitato a chi frequenta i corsi. Penso alla Citizen Scienceche sempre più sollecita interazione tra società civile (di ogni età) e comunità scientifica. Penso alle mense pubbliche di ogni ordine e grado, alla cultura alimentare ed enogastronomica buona, pulita e giusta di cui dobbiamo collettivamente dotarci.

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