Foto: Kiril Dobrev/Unsplash
Perché la crisi della biodiversità dovrebbe preoccuparci? In che modo, al di là della perdita di un certo valore estetico (o ‘ricreativo’, come lo definiscono alcuni) o morale, l’estinzione dei panda o degli storioni o di chi sa quale specie di artropode potrebbe avere un impatto sulle società umane?
Proprio come la crisi climatica, anche l’attuale crisi di biodiversità – sempre più studiosi concordano sul definirla Sesta estinzione di massa – è controintuitiva. Non più avvezzi, nelle società occidentali, al contatto diretto con il mondo naturale, abbiamo dimenticato quanto questo sia essenziale per il buon funzionamento dei nostri ambienti artificiali, per la nostra stessa sopravvivenza.
È da poco che la consapevolezza della nostra dipendenza dalla biosfera inizia a farsi strada al di fuori degli ambienti scientifici. Ad esempio, sentiamo parlare sempre più spesso di ‘servizi ecosistemici’ e di ‘contributi della natura alle persone’ anche in ambito economico e politico; tuttavia, l’utilizzo di questi concetti in settori diversi da quello delle scienze naturali, che ne offre una definizione sfaccettata e complessa, ha determinato una traslazione del loro significato, dovuta in molti casi alla scarsa comprensione della complessità che caratterizza i processi naturali.
Ne è esempio paradigmatico l’approccio economicistico ai correnti problemi ambientali. Un esempio su tutti: la riduzione di ogni elemento (o fenomeno, o processo) naturale a un valore meramente monetario. Secondo la visione economicistica, cioè, la crisi ambientale può essere risolta, almeno in linea di principio, determinando un equivalente monetario di quegli insostituibili servizi ecosistemici che, a causa delle attività antropiche, si stanno lentamente sgretolando. Ovviamente, questa non è una soluzione realistica: le evidenze scientifiche hanno dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio che nessuna moneta è in grado di sostituire l’inestimabile lavoro degli animali impollinatori, la regolazione termica delle foreste o l’azione dei microrganismi decompositori.
A ben guardare, in effetti, ci rendiamo conto che, ancora una volta, il problema è a monte: la questione della valutazione economica dei servizi ecosistemici – e, in generale, della natura – contiene in sé una fallacia teorica, ancor prima che tecnica. L’errore consiste nel modo in cui si attribuiscono i valori: nella società occidentale di stampo capitalistico, l’analisi della realtà si basa su un insieme di valori estremamente ristretto – i valori commerciali, o di mercato.
L'intervista completa a Barbara Muraca e Dominic Lenzi. Servizio di Sofia Belardinelli, montaggio di Barbara Paknazar
È questa la principale fallacia evidenziata da un nuovo pionieristico Rapporto presentato lo scorso 11 luglio dall’IPBES (Intergovernmental Science-Policy Platform for Biodiversity and Ecosystem Services), intitolato “Analisi dei diversi valori e delle valutazioni sulla natura” (IPBES Values Assessment of the Diverse Values and Valuation of Nature), di cui è per ora disponibile il Summary for Policymakers.
Il Rapporto, suddiviso in sei capitoli, è il frutto di quattro anni di lavoro e della collaborazione di 82 esperti, provenienti da ogni parte del mondo, di discipline umanistiche, scienze sociali e scienze naturali. Si tratta di uno sforzo autenticamente transdisciplinare, che fa dell’inclusività di linguaggi e visioni del mondo un grande punto di forza: infatti, l’obiettivo del documento è una revisione il più possibile esaustiva dei valori attribuiti alla natura e dei numerosi metodi di valutazione esistenti tra le diverse sensibilità e culture umane. Per la prima volta, sottolineano gli autori, si è data grande rilevanza all’ascoltare anche le voci minoritarie – come quelle dei popoli indigeni, che hanno un rapporto con il mondo non umano completamente diverso rispetto a quello sviluppato dalla moderna società occidentale – e a coinvolgerle in tutti i momenti di stesura del documento.
Per avere una visione complessiva di quanto emerge dal Rapporto, ci siamo rivolti a due degli esperti che hanno contribuito alla sua costruzione: Barbara Muraca, professoressa all’Università dell’Oregon (USA) e Lead Author nel secondo capitolo del Values Assessment Report, e Dominic Lenzi, professore all’università di Twente (Paesi Bassi), che ha partecipato ai lavori come Fellow nello stesso capitolo del Report.
È proprio Lenzi ad illustrare uno dei passaggi teorici centrali del Rapporto: la costruzione di una tassonomia di tutti valori e i sistemi di valutazione del mondo naturale attualmente esistenti. «Da tempo, uno degli obiettivi principali del lavoro dell’IPBES consiste nel superamento del dibattito, estremamente riduttivo, che vede la natura soltanto come un fornitore di servizi ecosistemici. I valori che possiamo attribuire al mondo vivente sono numerosissimi: quel che si cerca di offrire in quest’ultimo rapporto è una loro catalogazione sistematica. Nonostante sia uno sforzo piuttosto teoretico, l’intento è quello di presentare a decisori politici, esperti di valutazione ambientale e scienziati uno strumento che consenta loro di guardare al mondo naturale con un approccio più ampio, mostrando come vi sia una grande varietà di possibili modi di interazione con esso.
È uno sforzo senza precedenti, sia in termini di estensione, sia per quanto riguarda il metodo: per la prima volta vengono accostate visioni del mondo e narrazioni molto lontane le une dalle altre, rendendole tutte equamente visibili all’interno di un’unica piattaforma di valutazione».
«Tra i principali sforzi teoretici di questa Analisi – evidenzia Barbara Muraca – vi è il tentativo di offrire una più ampia visibilità ai sistemi di pensiero ‘altri’, quelli che l’IPBES definisce ‘conoscenze indigene e locali’. Molti dei metodi di valutazione qui analizzati tengono in grande considerazione questo bacino di conoscenze; eppure, finora essi hanno avuto un impatto pressoché nullo sulle decisioni politiche in materia ambientale». Ciò non solo è dovuto all’ignoranza circa le visioni del mondo alternative a quella dominante, ma anche – spesso – rappresenta una vera e propria scelta di campo. Infatti, come ricorda Muraca, «la scelta del metodo di valutazione non è mai neutrale nel rappresentare la realtà e i valori che la permeano: i metodi sono, lato sensu, anch’essi delle istituzioni, e come tali portatori di valori e significati. La scelta di una metodologia, dunque, non è mai soltanto dettata da motivazioni pratiche, nella misura in cui ha conseguenze ben più ampie, con ricadute, ad esempio, in termini di giustizia: i valori a cui si sceglie di dare rilevanza determinano quali voci saranno ascoltate, quali verranno lasciate nel silenzio».
Secondo gli autori del rapporto, una delle suddivisioni più ampie in cui possono essere suddivisi i valori che vengono attribuiti alla natura riguarda il tipo di relazione che si instaura con quest’ultima. Vivere grazie alla natura, con la natura, nella natura, e vivere come natura sono quattro fondamentali modalità di relazione che, a loro volta, riflettono visioni del mondo, sistemi di pensiero e di conoscenze, e valori estremamente variegati. Come chiarito nel Summary for Policymakers (SfP), «Chi ritiene di vivere ‘grazie alla’ natura si concentra sulla capacità del mondo naturale di fornire risorse per soddisfare bisogni e desideri umani. […] Vivere con la natura significa dare valore ai sistemi di supporto vitale ponendoli in correlazione con i viventi ‘più-che-umani’», che hanno il diritto di vivere e prosperare anche indipendentemente dalle esigenze umane. La percezione di vivere nella natura rimanda «all’importanza dei territori come luoghi in cui si sviluppa l’esistenza, la cultura e le pratiche sociali di una comunità». Infine, «le persone possono sentirsi parte della natura quando vivono come se fossero anch’essi natura, percependo quest’ultima come una parte di sé stessi in senso fisico, mentale e spirituale». Si tratta indubbiamente di una gamma di interpretazioni del rapporto tra umani e non umani ben più ampia e ricca rispetto a quella monocromatica affermatasi nella società occidentale contemporanea.
La tassonomia dei valori della natura. Immagine: IPBES Values Assessment, Summary for Policymakers, p. 8
«A livello di politiche, vi è oggi un’eccessiva attenzione a un insieme estremamente ristretto di valori, quelli fondati sul mercato – talmente ristretto da escludere persino alcuni valori comunemente considerati strumentali», e quindi incentrati su una prospettiva antropocentrica. «Si tratta di un approccio riduttivo ed estremamente problematico: uno dei messaggi chiave del SfP è che continuare a basare le nostre decisioni – a livello locale, nazionale e di governance globale – sui valori commerciali non è assolutamente una soluzione praticabile, ma è anzi parte del problema», constata Muraca.
Tra i passaggi più interessanti del SfP, il riassunto del Report dedicato ai decisori politici, vi è la rassegna delle differenti traiettorie di cambiamento trasformativo che potrebbero avverarsi nei prossimi decenni. Anche in questo caso, molto dipenderà dai valori che decideremo di adottare. «Il Rapporto non raccomanda una traiettoria specifica tra quelle analizzate» (si va dalla cosiddetta ‘crescita verde’ alla decrescita, alla conservazione della natura, alla Earth stewardship), «ma mette in luce come le traiettorie che si discostano in maniera più marcata dall’attuale percorso di sviluppo – il cosiddetto business as usual – adottino un insieme più articolato di valori», spiega ancora Muraca.
Inoltre, all’interno del Summary sono indicati alcuni punti essenziali per realizzare il necessario cambiamento trasformativo. Si tratta, come illustrato nell’immagine, di realizzare una vera e propria leva, che, una volta messa in azione, renda il cambiamento sempre più realizzabile e vantaggioso:
- Riconoscere la diversità dei valori attribuiti alla natura attraverso una valutazione adeguata e attendibile
- Includere la valutazione all’interno delle diverse fasi dei processi decisionali in modo da tenere in considerazione i diversi valori dati alla natura;
- Riformare le politiche in modo di riallineare incentivi, diritti e regolamenti con la diversità di valori della natura, e in modo da dare ai differenti soggetti coinvolti la possibilità di esprimersi e di agire in base ai propri valori compatibili con la sostenibilità;
- Creare spazi nei quali sia possibile deliberare, sviluppare e mettere in atto obiettivi e norme sociali coerenti con le aspirazioni globali di sostenibilità e giustizia.
Value-based leverage points for transformative change. Immagine: IPBES Values Assessment, Summary for Policymakers, p. 26
Si tratta di suggerimenti d’azione lungimiranti, che, se attuati su vasta scala, potrebbero modificare profondamente scopi e metodi dell’attività politica. Eppure, tutto rimane legato a quel se: la speranza, secondo Muraca, è che «i messaggi centrali di questa Analisi verranno presi seriamente in considerazione, nel corso delle prossime occasioni decisionali in tema di biodiversità». Il primo campo di prova sarà la prossima COP15 della Convenzione sulla Diversità Biologica, che – dopo due anni di ritardi – dovrebbe tenersi a Montreal, in Canada, il prossimo dicembre. «Spero che vengano accolti entrambi i messaggi che abbiamo cercato di trasmettere: uno negativo, che sottolinea quanto i valori di mercato applicati alla natura siano dannosi, e uno positivo, che mette in luce quante siano le strade alternative che possono essere percorse per realizzare un futuro più sostenibile ed equo».
Una paura condivisa, d’altra parte, è quella espressa da Lenzi, il quale rammenta come molti degli accordi internazionali in materia ambientale (pensiamo agli Aichi Targets, cuore del Piano Strategico per la Biodiversità per il decennio 2011-2020, rivelatisi totalmente fallimentari) «spesso non includono alcuno strumento che ne garantisca l’attuazione, con controlli e sanzioni. Si tratta di un serio problema: la mia impressione è che, a livello internazionale, si dia ancora oggi maggiore importanza alla mitigazione dei cambiamenti climatici che alla tutela della biodiversità, e che, a dire il vero, neanche la mitigazione dei cambiamenti climatici sia in cima alle agende politiche. Vedo ancora un divario troppo profondo tra le evidenze e i suggerimenti forniti dagli studiosi e le azioni intraprese dai politici. Sono convinto che la discussione e l’eventuale adozione dell’Analisi sui valori, nel corso della prossima Conferenza delle Parti sulla biodiversità, sarebbe un enorme passo avanti; tuttavia, non dobbiamo abbassare l’attenzione sull’introduzione o meno di meccanismi che rendano esecutive le decisioni prese in quella sede». È compito della società civile, delle organizzazioni non governative, di imprese e cittadini, dei media fare in modo che questo aspetto essenziale degli accordi internazionali non passi inosservato: mostra la serietà delle intenzioni della classe politica, e rappresenta una garanzia che quel che viene concordato sulla carta si trasformi in realtà, e trasformi il mondo nel quale viviamo.