UNIVERSITÀ E SCUOLA
A scuola in ospedale, l'esperienza padovana
Da sinistra Elisa Galeazzo, referente unica della scuola in ospedale di Padova, e Michela Bettin, coordinatrice della scuola secondaria di primo grado presente nell'Azienda ospedale - università di Padova
Scaffali pieni di volumi, libri e pennarelli sui tavoli, disegni alle pareti. E ancora, puzzle con cui studiare arte, modelli del corpo umano per le scienze. È facile riconoscere in questi ambienti spazi deputati all’insegnamento. Qui, però, i docenti indossano un camice bianco e gli studenti sono i giovani pazienti pediatrici dell’Azienda ospedale - università di Padova.
Ad accoglierci e condurci nelle aule, alle 10 di un martedì mattina, è stata Elisa Galeazzo, insegnante e referente unica della “Scuola in ospedale” di Padova, che con Andrea Muto, dirigente scolastico del II Istituto comprensivo “Ardigò”, e Liviana Da Dalt, direttrice del dipartimento didattico-scientifico-assistenziale integrato di Salute della donna e del bambino, ci ha raccontato cosa significhi fare lezione in una struttura ospedaliera.
“La scuola in ospedale - spiega la docente - permette ai bambini di continuare il loro percorso scolastico nel periodo in cui sono ricoverati. Se vengono dimessi, ma non possono frequentare, viene attivato invece il servizio di istruzione domiciliare”. L’obiettivo è quello di mettere gli alunni ricoverati nelle condizioni di poter proseguire lo sviluppo di capacità e competenze, riconoscendo loro il diritto-dovere all’istruzione, facilitando il reinserimento nei contesti di appartenenza, e prevenendo in questo modo eventuali situazioni di dispersione scolastica e abbandono.
In Italia la scuola in ospedale nasce intorno agli anni Cinquanta, quando in alcuni reparti pediatrici vengono create le prime sezioni di scuole speciali per aiutare i giovani pazienti nel percorso didattico, evitando le difficoltà tipiche del rientro a scuola dopo un lungo periodo di assenza dovuto alle cure ospedaliere.
La scuola nell'ospedale di Padova raccontata da Elisa Galeazzo, Andrea Muto e Liviana Da Dalt. Servizio di Monica Panetto, riprese e montaggio di Barbara Paknazar
Da lì in poi, queste realtà all’interno delle strutture sanitarie cominciano a moltiplicarsi, fino a quando nel 1986 la scuola in ospedale viene riconosciuta a livello ministeriale (c.m. 2 dicembre 1986, n. 345) come sezione staccata della scuola del territorio. Nel caso di Padova, la scuola in ospedale è una sezione del II Istituto Comprensivo “Ardigò”, che è anche scuola polo per il Veneto.
“Gli insegnanti in ospedale si occupano di tutti i bambini ricoverati, li accolgono, cercano di capire insieme ai genitori e ai docenti della scuola di appartenenza a che punto sono i loro apprendimenti. Li affiancano nel percorso di cura occupandosi della loro parte sana, li proiettano nel loro momento di uscita dall’ospedale”. Nell’Azienda ospedale-università di Padova sono presenti tutti i cicli di istruzione scolastica, dalla scuola dell’infanzia alla scuola secondaria di secondo grado, per un organico di oltre 20 docenti.
“Lavorare con la parte sana del bambino - sottolinea Elisa Galeazzo - significa affiancare i medici nel percorso di cura, significa mettere il bambino in una condizione emotiva e psicologica che gli permetta di affrontare con più serenità il suo vissuto in ospedale. Qualcuno di noi ha la possibilità di portare chi è ricoverato in aula e di fargli percepire la scuola come la conosce all’esterno dell’ospedale, altri invece sono vincolati all’insegnamento al letto. Quello che i bambini ci chiedono è la normalità”. E conclude: “È un gioco di squadra che si fa insieme ai medici, alla famiglia e alla scuola di appartenenza, per preparare i piccoli pazienti al ritorno a scuola. L'integrazione, dunque, diventa fondamentale sia nei percorsi che negli intenti”.
In tutte le province del Veneto c’è almeno un ospedale con una sezione scolastica, che può comprendere uno o più ordini di scuola. Il II Istituto Comprensivo “Ardigò” è scuola polo per il Veneto, essendo la scuola in ospedale di Padova la realtà più complessa e articolata a livello regionale.
“Il nostro compito, come scuola polo - spiega Andrea Muto -, è di coordinare innanzitutto la formazione dei docenti ospedalieri, che lavorano a stretto contatto con il personale sanitario e sono vicini alle famiglie. Si tratta di figure di grande supporto, la cui azione pedagogica e formativa è diventata parte stessa della cura stessa”. La scuola polo, inoltre, gestisce i fondi nazionali che vengono assegnati all'istruzione ospedaliera e all’istruzione domiciliare.
“Prima di lavorare in una scuola di questo genere, da poco più di due anni - osserva il dirigente scolastico -, conoscevo molto poco questo tipo di servizio che, dal mio punto di vista, rappresenta un modello di grande civiltà. Finché ci sarà la volontà politica di tenere in piedi il servizio e rinforzarlo, la scuola in ospedale rappresenta un'eccellenza nel nostro sistema Paese”. E conclude: “Nella nostra regione si sta cercando di investire per far crescere ancora di più questo servizio. Mi risulta infatti che in alcune province sia aumentato l'organico degli insegnanti della scuola in ospedale e dunque le prospettive, almeno per quanto riguarda il Veneto, sono estremamente positive”.
Sul valore che la scuola in ospedale ha nel percorso di cura, ma anche di vita del bambino, si sofferma infine Liviana Da Dalt: “Certamente la scuola un ospedale è nata con l'obiettivo di garantire ai piccoli pazienti - in particolare quelli con malattie croniche complesse che richiedono ricoveri prolungati - il diritto all'istruzione, contribuendo così a prevenire la dispersione scolastica e l'abbandono che certamente sarebbero fattori aggravanti della salute globale del bambino. Di fatto, la scuola in ospedale ha molti altri valori aggiunti importanti nel percorso di cura”.
“Innanzitutto è un fondamentale elemento di normalizzazione della vita del bambino ricoverato, di tutela e di rinforzo della sua parte sana, quindi di ritrovamento della propria identità e della propria autostima che spesso sono minate dalla malattia. A questo si aggiunge il fatto che, il rapporto molto spesso personalizzato che si viene a creare tra il bambino e l'insegnante, pur nel contesto concitato della vita in ospedale, diventa rassicurante per il piccolo paziente ed è di sostegno degli eventuali disagi emotivi e psicologici che sono originati dalla malattia. Ancora, la scuola ha un ruolo di ponte, di cerniera tra la vita prima della malattia e del ricovero e l'attesa di quello che accadrà dopo. E infine per i bambini, soprattutto per quelli più piccoli, la scuola è ‘distrazione’, permette di dimenticare di essere malato e di essere in ospedale”.
Liviana Da Dalt sottolinea, inoltre, come questo servizio sia un sostegno anche per i genitori che accompagnano il loro figlio o la loro figlia nel percorso di cura. "Il coinvolgimento dei piccoli pazienti nelle attività scolastiche aiuta i genitori a recuperare la percezione delle potenzialità del proprio bambino, nonostante il momento difficile della malattia, e questo sicuramente produce fiducia e aiuta a instaurare un clima di relazione positivo che ulteriormente aiuta nella gestione della malattia, nel rapporto medico-paziente e medico-famiglia”.
Concludiamo infine riportando la testimonianza di Ginevra, letta in occasione della consegna delle borse di studio da parte della sezione scolastica ospedaliera agli allievi più meritevoli: “In vita mia non avrei mai pensato di riuscire a ricevere una borsa di studio. A dir la verità non era nei miei piani nemmeno quello di essere ricoverata in ospedale, soprattutto ora che ho tutta una vita davanti. Vita che fino a pochi mesi fa era quasi giunta al termine. Vita di cui solo ora riesco a comprendere il valore. Perché stare male a volte è necessario; cadere per poi rialzarsi in certi casi comporta una difficoltà non insignificante.
Ho imparato tanto mentre mi rialzavo, ho imparato ad amare, a stupirmi, a soffrire, a gioire, a fidarmi, ma la cosa più importante che ho imparato è stata l’importanza di chiedere aiuto. Lasciarsi aiutare sembra una cosa insignificante, ma è stato ciò che mi ha permesso di rinascere, di poter andare a scuola, anche quando stavo più male, e di riuscire a superare l’anno.
A metà aprile 2019, il mio registro contava più assenze che presenze, di voti non ne avevo, era evidente a tutti che non avrei superato l’anno. Tutti lo vedevano, ma io no. Io dovevo rimanere promossa, dovevo almeno provarci. La scuola è sempre stata un elemento molto importante per me, mi appassiona impegnarmi nelle materie, impararle, capirle e padroneggiarle. E il rischio di perdere l’anno per me è una cosa improponibile.
Ecco perché la scuola è stata la mia ancora di salvezza, è stato uno o il motivo principale che mi ha spinto a trovare la forza di reagire e di farmi aiutare. Sono immensamente riconoscente a tutti i professori che mi hanno seguito durante questo periodo, hanno avuto un ruolo fondamentale nella mia guarigione. Devo a loro il mio futuro [...]”.
Oltre a chi è intervenuto nel servizio, si ringraziano per la collaborazione Silvia Baggio del dipartimento di Salute della donna e del bambino e Maria Guida, insegnante di scuola secondaria di secondo grado all'ospedale di Padova.