È ormai noto che la "città dei 15 minuti" sia una ipotesi di città in fase di sperimentazione, in cui il cittadino possa soddisfare le proprie esigenze a pochi minuti, a piedi, da dove abita.
Il tema della prossimità non è nuovo: lo tratta anche Ambrogio Lorenzetti, che, nel 1338, a Siena, in un ciclo di affreschi dipinge la “Allegoria ed effetti del buono e del cattivo governo”. Nella rappresentazione del buon governo vi è la città compatta, piena di vita, in cui ciascuno è impegnato in varie attività in una dimensione a scala umana e di prossimità. È evidente che esistono profonde differenze tra le città medievali e quelle contemporanea, ma entrambe perseguono lo stesso obiettivo: la misura d’uomo, la prossimità.
Ma quali sono i principali servizi di prossimità di cui ha bisogno il cittadino?
Tra i più significativi vi sono, in primis, i servizi sanitari, quali servizi primari accessibili alle fasce deboli, e non solo, dove ricevere assistenza o supporto sanitario unitamente, magari, al rilancio della figura del medico di base. Vi sono poi i centri sociali, che devono essere aperti, soprattutto, verso giovani e famiglie, ed essere teatro di nuove collaborazioni con altre realtà e soggetti del territorio. Le biblioteche di quartiere e aree circostanti, intese quali luoghi da valorizzare in virtù del loro ruolo culturale, aggregativo e educativo, nonché di presidio sociale in territori spesso periferici e attraversati da fragilità sociali. Gli oratori, identificabili in luoghi di aggregazione comunitaria, capaci di svolgere un ruolo essenziale nella costruzione dello scambio culturale, anche il mondo interetnico. I mercati rionali, che offrono forme di incontro e presidio sul territorio con ricadute in termini di coesione sociale nel quotidiano. La scuola, intesa quale luogo in cui gli spazi di aggregazione forniscono stimoli per la costruzione e la trasmissione di conoscenze. Gli spazi verdi, che rappresentano per gli abitanti dei quartieri gli spazi di incontro e socialità, e che dovrebbero essere più aperti, accessibili e attrattivi. La viabilità, che, oltre ad essere oggetto di confronto sulle politiche di mobilità, è lo spazio pubblico dove si manifestano i bisogni dei più deboli (dei senza fissa dimora, degli immigrati…), ed è lì che risulta più facile intercettare i bisogni dei soggetti fragili. Le attività commerciali, che dai grandi centri commerciali in periferia prospettano (in alcune città sono già stati realizzati) tipologie di esercizi commerciali a cavallo tra il grande supermercato e il negozio di “generi alimentari” del dopoguerra…
Ma questo concetto di prossimità, alla base della funzione della città, venne messo in discussione nel secolo scorso, quando i decisori (ri)pensarono le città attorno a un’idea di efficienza posta sulla specializzazione e sull’economia di scala. In ossequio all’efficienza furono realizzate porzioni di città specializzate (zone industriali, centri direzionali, cittadelle universitarie, centri per lo sport, quartieri residenziali-dormitorio, ecc.). In ognuna di queste zone si è concentrata la specifica funzione dell’attività e dei servizi. Tali scelte hanno avuto un senso per le realtà grandi e inquinanti che andavano delocalizzate dalla città; così pure i lavori d‘ufficio dovevano essere concentrati nei centri direzionali per favorire lo scambio (allora) fisico delle informazioni. Poi si passò al commercio, che doveva avvenire nei centri commerciali, i quali divennero le “nuove piazze”! (Sic!). In buona sostanza si andò realizzando la “città delle distanze”, sulla quale, però, la pandemia ci ha indotto a riflettere, portandoci a ritenere quanto siano necessarie, invece, la corretta prossimità e la corretta distribuzione dei servizi, in primis quelli sanitari.
Il tema della prossimità, si ribadisce, non è nuovo e va, quindi, affrontato con rinnovato slancio:
- attraverso la (ri)costruzione di comunità. Ma una comunità non si può progettare perché è una realtà che emerge da una molteplicità di eventi, ciò che si può fare è creare un ambiente adatto e produrre stimoli che portino a generare incontri e avviare conversazioni che creino comunità;
- ponendo attenzione alla relazione tra città. In effetti, la città attuale è priva di “cura” verso i propri abitanti, che sono intesi solo come utenti o clienti di servizi. L’ipotesi è che per rigenerare una città che “curi” i propri abitanti serva sviluppare nuove comunità con una nuova generazione di servizi: servizi collaborativi distribuiti sul territorio, che siano di stimolo alle comunità, e infrastrutture di supporto. Per far ciò è necessario operare su diversi piani: portando i servizi e le attività vicino ai cittadini (localizzazione), favorendo la costruzione di comunità (socializzazione), coinvolgendo vari attori (inclusione) e mettendo in collegamento le diverse aree coinvolte (coordinamento);
- focalizzando la relazione tra la dimensione fisica e quella digitale della prossimità. La pandemia ha imposto una trasformazione sociale importante che ha posto “il digitale” quale fattore ormai imprescindibile delle nostre comunità. Prossimità e cura, pur radicate nel mondo fisico, hanno una sempre crescente componente digitale caratterizzata da piattaforme, ciascuna delle quali può essere orientata focalizzando il tipo di attività che si intende promuovere.
Utili riferimenti sono le best practices, in cui la governance ha avviato esperienze di innovazione sociale e urbana particolarmente rilevanti: si pensi a Parigi, a Barcellona, a Milano.
L’attuale sindaca di Parigi Anne Hidalgo, per esempio, ha posto il tema della prossimità tra i suoi obiettivi di governo, proponendolo come strumento di sostenibilità (tra questi si ricordano gli spostamenti con i mezzi privati). Barcellona, fin dal piano della mobilità urbana del 2013, ha fatto proprio il concetto della “città del quarto d’ora” pensata da Carlos Moreno (docente universitario franco-colombiano, specialista nel controllo intelligente di sistemi complessi, noto per le sue riflessioni, iniziative e applicazioni incentrate sulla città intelligente, sostenibile e sensibile, ideatore e propugnatore del concetto di città dei 15 minuti), progettando i cosiddetti “superblock”: isolati quasi esclusivamente pedonali, a cui possono accedere soltanto mezzi autorizzati; tali isolati rappresentano piccole Comunità nella città, connesse agli altri superblock urbani da vie di collegamento esterne.
A Milano, la vera sfida in corso (nel quartiere Loreto) è quella di dare vita a zone residenziali integrate, in cui far convivere abitazioni, uffici, luoghi del commercio e della produzione (sostenibile), servizi pubblici e spazi verdi. Tra gli obiettivi a breve scadenza vi è la riduzione del fenomeno del pendolarismo lavorativo, onde contribuire al decongestionamento del trasporto nelle ore di maggiore intensità.
Il dato che si coglie in questo momento storico è una rinnovata sensibilità e consapevolezza da parte della politica verso le nuove esigenze della collettività. Ad esse bisognerà dare risposte attraverso una forma di rigenerazione urbana e sociale, che tenda alla costruzione di una comunità che “curi”, attraverso servizi collaborativi, le fasce deboli – ad esempio i poveri, i malati cronici e non, gli anziani soli – che devono uscire dall’isolamento, e che porti a un approccio di welfare urbano.