CULTURA

I vigneti museo, gli aristocratici viticoltori Leopardi, Giacomo e il vino

Beni culturali ed esposizioni lentamente riaprono. Dal primo febbraio gran parte d’Italia è in zona gialla, il che comporta che possono essere di nuovo aperti al pubblico musei, mostre, istituti e luoghi della culturadal lunedì al venerdì, festivi esclusi, a condizione che siano garantite modalità di fruizione contingentata in modo da evitare assembramenti.

Resta invece per ora confermata la chiusura di cinema, teatri, sale da concerto, sagre e fiere, sia al chiuso che negli spazi all’aperto, come le feste conseguenti a cerimonie civili e religiose. Rimangono pure sospesi convegni, congressi, parchi tematici, attività sportive “di contatto” non agonistiche e di divertimento o altri eventi in presenza, compreso il ballo nelle discoteche e il gioco nelle sale, anche se svolti all’interno di locali adibiti ad attività differenti.

Gli stessi musei non hanno riaperto subito e ovunque nel passaggio dall’arancione al giallo, né potrebbero essere visitati se collocati in altre regioni e province. In alcune realtà ci si sta ancora attrezzando e, inoltre, almeno fino al 15 febbraio sono vietati gli spostamenti tra regioni e province autonome diverse, anche se il luogo di partenza e di destinazione sono entrambi in zona gialla (tranne che non vi sia giustificazione di necessità o lavoro). Resta il fatto che le visite sono perlopiù riprese nei musei e anche nelle principali sponsorizzate mostre di grandi artisti, che aggiorneranno presto le previste date di chiusura e l’intero calendario. Necessariamente entro metà febbraio, dopo il rapporto dell’Istituto superiore di sanità di venerdì 12 e la fiducia al governo Draghi, si attendono anche i nuovi decreto legge e Dpcm su tutta la materia.

L’emergenza sanitaria sta imponendo un ripensamento dei beni e dei luoghi della cultura, sia dal punto di vista di chi li gestisce che dai molteplici punti di vista di chi vorrebbe fruirne. Lo studente e il curioso si sono spesso dovuti rivolgere alla rete virtuale e molte istituzioni hanno promosso o riorganizzato siti e presentazioni web di opere ed esposizioni, per l’oggi e per il domani. Il turista camminatore e i congiunti affiatati si sono dovuti concentrare sull’offerta del proprio territorio di residenza, magari riscoprendo sguardi e odori del paesaggio interurbano costiero, rurale, fluviale-lacustre e montano del proprio ecosistema umano di appartenenza.

Ci si è in qualche caso meglio accorti che il contiguo paesaggio-ecosistema offre momenti e sprazzi di bellezza permanente. Qualcuno forse ha potuto apprezzare i vigneti e le cantine di tanta parte d’Italia: sono da millenni, e ancor più negli ultimi secoli e decenni, una costante a un tiro di schioppo da quasi ogni residenza. Come è noto nel 2019 le colline del Prosecco (in un un'area di quindici comuni da Vittorio Veneto a Valdobbiadene) sono state nominate sito Unesco patrimonio dell'umanità e nel 2020 a Bondeno, in provincia di Ferrara, sono state rinvenute le prove forse del più antico consumo di vino in Italia, circa 3.500 anni fa.

Oltre che appagarci per i filari geometrici di colore cangiante e, poi, per l’assaggio del relativo liquido odoroso che ne scaturisce ogni anno, questo può essere uno spunto per riflettere su quanto il vino faccia parte della scienza e della comunicazione di ogni grande artista che abbia toccato le nostre menti e i nostri cuori. Prendiamo Leopardi.

La genealogia dei Leopardi (commercianti e albergatori guelfi) illustra complessivamente una delle più antiche famiglie marchigiane, pure italiane ed europee, dedita da secoli alla viticoltura, come rilevante e identitaria attività. Forse l’attuale universale notorietà della casata non sarebbe avvenuta se, a un certo punto, non fosse vissuto Giacomo, è probabile. Si sarebbe trattato di una delle tante famiglie antiche e in parte nobili dei territori dell’Italia centrale (sotto prevalente tutela pontificia), associabili alle alterne vicende dell’aristocrazia di campagna e delle rendite agricole, delle lotte fra guelfi e ghibellini e dell’incrocio con gli eserciti di passaggio, dei conflitti sociali e di classe.

L’esistenza e la fama del poeta hanno costituito una cesura periodizzante per la famiglia, per Recanati e per le Marche, con la quale tutti poi hanno dovuto fare i conti. E, tuttavia, l’interesse per la genealogia dei Leopardi fu innanzitutto dell’aristocratico curioso e spendaccione squattrinato padre di Giacomo, l’amante di vigne e vini Monaldo (molto più che della più nobile, ricca e religiosamente austera madre Adelaide Antici), un’indagine genealogica che si è poi arricchita con i tanti successivi studi sul poeta.

Andrebbe fatta una ricerca comparata sull’influenza del vino nella storia culturale e artistica di tanti illustri italiani, in parallelo con l’impatto cruciale dei vigneti sul paesaggio e sull’economia delle regioni. A casa Leopardi c’erano vigne e some di vino (misura antica di capacità di contenitori di liquidi) fin dal Trecento. Già si vinificava e la parte padronale dell’uva raccolta nelle numerose colonie veniva riunita in una grande cantina situata nella zona detta dei Cappuccini.

La produzione di vino era essenziale nell’economia delle aziende agricole del tempo e, a fine Cinquecento, fu comprata la vigna di Chiarino alto (120 ettari, oggi ancora più di 50), capace di garantire propriamente reddito vitivinicolo (prima che il sistema della rotazione riducesse i terreni dedicati esclusivamente alle vigne), sia con vendita diretta che come moneta di scambio. Nel Settecento si completò poi la realizzazione della nuova cantina proprio sotto l’enorme edificio sulla Piazzuola del (successivo) Sabato del Villaggio: 400 metri quadrati con volte a crociera, locali per appendere i grappoli destinati ad appassire, tini ed enormi botti cerchiate in ferro e autoprodotte in quercia o rovere (6 o 7 con capacità di 60-65 quintali), spinelli in corno per bloccare l’ossigeno, orcioli per il vino da messa, raccolta delle acque piovane e riciclo delle vinacce come concime, addirittura una fontana in casa per farvi arrivare il vino in occasione del battesimo della sorella di Monaldo (poi divenuto pure viticoltore e cantiniere). La struttura è tuttora visitabile nell’insieme edilizio principale del palazzo.

Rispetto a quali bevande fosse abituato ad assumere Giacomo Leopardi non tutto si sa e dovremo tornare sul suo rapporto con l’acqua, spesso frainteso (per la pulizia più che per l’alimentazione, ovviamente). Su Giacomo e l’enologia, comunque, sono state già scritte molte pagine, parti di volumi biografici o dedicate ad aspetti della sua esistenza e arte. Nella vita del poeta filosofo la coltura della vite e la cultura del vino sono sempre state presenti. Se ne parlava, tanti familiari e intimi se ne occupavano, la biblioteca conteneva libri in materia, se ne beveva, lui ci ragionò sopra (imparando ad amare i prodotti marchigiani, come poi espresse esplicitamente), studiò gli effetti su corpo e mente propri e dei commensali, ne scrisse, ne provò di diverse tipologie anche durante i viaggi (a Bologna come a Napoli).

Le tracce documentarie sono state abbastanza studiate, dalle poesie giovanili alle traduzioni, da varie lettere nell’Epistolario alle Operette Morali e (soprattutto) allo Zibaldone. Molto è stato ricostruito specificamente della sua dieta solida e liquida nelle varie fasi della vita, per esempio in tempi più recenti da Domenico Pasquariello e Antonio Tubelli, nel libro Leopardi a tavolae da Tommaso Lucchetti con Il poeta e la sua mensa. All’interno dell’alimentazione e delle relative ricette c’è sempre stato anche il vino, prodotto bevuto incontrato gustato, anche “usato” alla bisogna.

Il piacer del vino è misto di corporale e di spirituale. Non è corporale semplicemente. Anzi consiste principalmente nello spirito

I riferimenti letterari al vino sono diffusi e precisi. Limitiamoci qui all’essenziale. Già nel 1820 (quasi 22enne) Leopardi definì il vino come “il più efficace consolatore”, via via precisandone le possibili virtù (dare rapido coraggio e vivace disinvoltura per approcci amorosi, acuire percezioni e immaginazione aiutando a mettersi più in alto nella speculazione filosofica e nella lirica poetica, favorire quindi le facoltà argute di pensare e ragionare), tanto quanto i possibili effetti dannosi per eccessi e assuefazione (pure con i gravi sconvenienti rischi dell’essere ubriachi).

Con sorprendente efficacia nel 1823 così riassunse la sua opinione:Il piacer del vino è misto di corporale e di spirituale. Non è corporale semplicemente. Anzi consiste principalmente nello spirito”. Per poi scrivere nell’Elogio degli Uccelli: “E crederei che la prima occasione e la prima causa di ridere, fosse stata agli uomini l'ubbriachezza; altro effetto proprio e particolare al genere umano. Questa ebbe origine lungo tempo innanzi che gli uomini fossero venuti ad alcuna specie di civiltà; poiché sappiamo che quasi non si ritrova popolo così rozzo, che non abbia provveduto di qualche bevanda o di qualche altro modo per inebbriarsi, e non lo soglia usare cupidamente".

E vino i discendenti del poeta ancora producono. Oggi le uve sia rosse che bianche vengono conferite a un’azienda dell’anconetano a Montecarotto. Forse questa notevole secolare storia dovrebbe suggerire una più attenta valorizzazione del terroir, per esempio provando ad avere anche Ribona dal vitigno maceratino.

La cantina attiva si trova ancora a Valdice, una contrada del versante marino-collinare di Recanati, dove dimorano viti a bacca nera di varietà Sangiovese, Montepulciano e Cabernet Franc e a bacca bianca di varietà Maceratino e Chardonnay. Questi vigneti, di proprietà della famiglia Leopardi, sono gestiti dall’Azienda Vitivinicola Conti Leopardi di San Leopardo in collaborazione tecnica con Terre Cortesi Moncaro.

Per altro, il vino risulta storicamente essere componente esistenziale dello stesso Giacomo Leopardi in tutte le sue peregrinazioni, una domanda sul suo rapporto con il paesaggio vitivinicolo e sul relativo prodotto potrebbe essere rivolta a chiunque ci faccia da guida nella conoscenza del poeta, vale sempre la pena frequentarlo.

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