SCIENZA E RICERCA

Come cambiano gli ecosistemi in risposta alla crisi climatica: uno studio sul territorio italiano negli ultimi 150 anni

La biodiversità soffre a causa di numerosi fattori legati alle attività umane e alla crisi climatica che queste hanno scatenato. In tutto il mondo i cambiamenti di destinazione d’uso del suolo (da foreste ad aree agricole, ad esempio), la rapida crescita della popolazione umana e gli effetti del cambiamento del clima (non sempre lineari, ma variabili da regione a regione) mettono a dura prova la sopravvivenza di molte specie animali e vegetali, che non riescono a stare al passo con il repentino sconvolgimento degli ambienti ai quali si sono adattati attraverso lunghi processi evolutivi.

Per comprendere a pieno le conseguenze dei cambiamenti globali, bisogna valutare non solo la perdita della diversità tassonomica (il numero di specie), ma anche gli impatti sul funzionamento degli ecosistemi e sui processi evolutivi in atto. A questo scopo, è necessario avere a disposizione un termine di paragone: in molti casi, tuttavia, non si hanno a disposizione dati storici sulla salute degli ecosistemi locali, e la valutazione è difficile da realizzare.

Un gruppo di ricercatori dell’università Statale di Milano e del CNR di Bologna e di Pisa è invece riuscito nel compito di recuperare i dati storici relativi a numerose comunità ecologiche, e ha potuto così costruire un ampio insieme di dati che racconta l’evoluzione della biodiversità degli artropodi in Italia lungo un periodo di oltre 150 anni.

Francesco Ficetola – docente di zoologia all’università Statale di Milano e fra gli autori della ricerca, pubblicata su Nature Ecology&Evolution – spiega la ratio del lavoro svolto: «La scelta di concentrarci sugli artropodi è stata dettata da motivi di utilità. Seppur poco appariscenti e poco conosciuti, gli artropodi (e, all’interno di questo gruppo, gli insetti) costituiscono la stragrande maggioranza della biodiversità animale: circa il 90% delle specie animali, infatti, sono artropodi. Per studiare la biodiversità di una regione, dunque, scegliere di usare come proxy questo phylum estremamente ricco in specie ci permette di accumulare informazioni su comunità molto numerose e diversificate, non solo dal punto di vista tassonomico ma anche dal punto di vista delle funzioni ecosistemiche.

Un ulteriore vantaggio consiste nel fatto che da molto tempo l’attenzione di zoologi ed entomologi è stata catturata dagli artropodi: nelle collezioni museali italiane, dunque, è conservato un gran numero di esemplari, e questa documentazione ci permette di avere informazioni accurate sulle comunità ecologiche, e di conseguenza sugli ecosistemi, nel nostro caso fino a 100-150 anni fa e relative a pressoché tutta la penisola italiana».

Questa ampia ricognizione dello stato di salute degli ecosistemi italiani ha restituito un quadro non brillante: come era ragionevole aspettarsi, infatti, il cambiamento delle condizioni ambientali avvenuto nel corso dell’ultimo secolo non è stato privo di conseguenze per gli habitat naturali della penisola. Le fluttuazioni dei tassi di diversità sono state più ampie laddove si sono verificate maggiori interferenze umane (modificazione della destinazione d’uso dei suoli, espansione della popolazione umana), ma hanno avuto un grande impatto anche l’aumento delle temperature e la riduzione dei livelli annuali di precipitazioni.

«Nel corso dell’ultimo secolo, la penisola italiana ha sperimentato un aumento delle temperature medie di 1°C abbondante», spiega Ficetola. «Le conseguenze di questo fenomeno sono sotto i nostri occhi: in alcuni casi, l’innalzamento della temperatura ha indebolito gli ecosistemi, mentre in altri casi ha favorito alcune specie. Anche in Italia, è in atto il fenomeno della tropicalizzazione, per cui le specie che vivono più a Sud si espandono verso nord man mano che le temperature aumentano e le loro nicchie ecologiche si espandono.

D’altra parte, ci ha sorpreso scoprire che il principale fattore di stress per gli ecosistemi – ancor più dell’aumento delle temperature – è la modificazione dei pattern delle precipitazioni: questo, se unito alle temperature in crescita, può avere effetti deleteri sulla biodiversità». Ciò è particolarmente evidente in Italia, paese che – affermano gli autori nell’articolo – è già oggi, e ancor di più in futuro, un hotspot del cambiamento climatico. Come tutta l’area mediterranea, infatti, anche la Penisola dovrà affrontare, nei prossimi decenni, un generale inaridimento e un costante aumento delle temperature, che determineranno, nel lungo periodo, sostanziali cambiamenti nei paesaggi naturali.

Ma non tutte le notizie sono negative. Certo, in Italia – coerentemente con il resto d’Europa, d’altronde – lo sfruttamento dei terreni a scopi umani è aumentato esponenzialmente dopo la Seconda Guerra Mondiale, e questo ha influito negativamente sulla salute degli ecosistemi. «Tuttavia, analizzando i dati raccolti – puntualizza Ficetola – abbiamo riscontrato anche una tendenza positiva: non sempre, infatti, gli habitat hanno subìto un peggioramento. In alcuni casi, soprattutto nelle aree medio-montane, gli habitat naturali si sono espansi e la loro salute è addirittura migliorata. Questo è avvenuto nelle aree in cui, nei decenni passati, sono stati istituiti parchi nazionali e aree protette. Ciò significa che in Italia sono state portate avanti anche politiche di conservazione e di gestione del patrimonio naturalistico adeguate, che stanno dando i loro frutti.

Un altro dato interessante emerso dalle nostre analisi è che proprio nelle aree in cui l’ambiente naturale è più rigoglioso, la risposta agli effetti del cambiamento climatico da parte degli ecosistemi è migliore. Un habitat sano, infatti, è in grado – seppur parzialmente – di mitigare gli effetti negativi del cambiamento globale in atto. Ciò non significa, però, che non sia necessario intervenire: rimane essenziale impegnarsi per ridurre in modo significativo e nel più breve tempo possibile le emissioni di CO2 e gli altri fattori che incrementano la crisi climatica, poiché gli ecosistemi non saranno in grado di resistere a un cambiamento così rapido e di vaste proporzioni».

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